Era il 29 luglio 1983 quando a Palermo la prima auto-bomba della mafia uccise il giudice Rocco Chinnici, considerato il padre fondatore del pool antimafia e il maestro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Assieme a lui furono trucidati il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e Stefano Li Sacchi, portiere dell’abitazione del magistrato davanti alla quale fu fatta esplodere la Fiat 127 imbottita di esplosivo.

Sulla storia di suo padre, il figlio del giudice, Giovanni Chinnici, ha scritto un libro edito da Mondadori, “Trecento giorni di sole. La vita di mio padre Rocco, un giudice scomodo”, sul quale rilascia una lunga intervista nella trasmissione Uno, nessuno, 100Milan (Radio24), toccando diversi temi cruciali. Tra i tanti, quello sulla trattativa Stato-mafia, riguardo alla quale la Cassazione ha assolto per non aver commesso il fatto i tre ex investigatori del Ros Mori, Subranni e De Donno nonchè l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri .

Mio padre – premette Giovanni Chinnici – intuì il quarto livello di potere più di 40 anni fa, intendendo le adesioni e le coperture istituzionali di cui indubbiamente la mafia negli anni ha goduto. Faccio l’avvocato e ho anche io una visione attenta ai profili di diritto, quindi conosco la difficoltà di riuscire a individuare le responsabilità di tipo penale oltre determinati livelli, perché una cosa è una copertura politica, altra cosa è una responsabilità penale che va qualificata giuridicamente secondo le leggi del nostro paese. Però una copertura e un’adesione, anche se non configurano un reato, sono comunque importanti sotto il profilo della valutazione etica della classe politica. Il cittadino italiano non ha necessità di delegare queste scelte all’autorità giudiziaria”.

Inevitabile la domanda del conduttore, Alessandro Milan, sulla recente e discussa scelta della sorella Caterina, europarlamentare che, dopo essere stata per quasi due legislature nel gruppo dei Socialisti e democratici europei, è passata al Ppe nella delegazione di Forza Italia. La decisione è stata fortemente contestata anche dall’autista di Rocco Chinnici, Giovanni Paparcuri, che scampò miracolosamente alla morte perché era dentro l’auto blindata (“Provo tanto disagio, è una scelta pericolosa perché crea ulteriore confusione in un’antimafia già fiaccata”).

Questa è una scelta assolutamente indipendente di mia sorella Caterina – risponde Giovanni Chinnici – e io non vorrei commentarla. L’impegno è qualcosa che va oltre anche quelle che possono essere delle valutazioni a caldo, però mi deve consentire di non commentare questa notizia”.

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