Sono un sopravvissuto, lo so. E forse non dovrei prendere la penna per scrivere. Ma non riesco a dimenticare. Avevo vent’anni quando nella “Brigata Garibaldi” combattevo contro i nazifascisti. Sono vecchio, ora. E stanco. Ma ho deciso di rompere il silenzio, la memoria mi spinge a un confronto, doloroso, tra gli ideali di allora e il presente.

L’idea dominante era la libertà: il sogno d’una società tollerante e pluralista; concetti chiari, dotati d’una potenza inaudita, ci permisero di sfidare ogni giorno il pericolo e la morte. Tutto è cambiato, adesso. Volevamo un’Italia giusta e democratica. Abbiamo una destra al potere che calpesta i diritti.

Faceva freddo sulle montagne e avevamo paura, perché negarlo?, la morte era in agguato. Ma si lottava. Dopo, a guerra finita, avremmo avuto tutti pari dignità sociale: senza distinzione di sesso, di razza, di religione. Cosa resta? Si parla di sostituzione etnica, oggi, come se non avessimo già pagato col sangue per queste aberrazioni.

Quando entrai in clandestinità coi partigiani, avevo grandi speranze: ero sicuro che il nuovo Stato avrebbe rimosso gli ostacoli economici e sociali che limitano l’egua-glianza dei cittadini. Non è così. Settantotto anni dopo gli ostacoli permangono, l’operaio è carne da macello, i giovani sono umiliati con contratti di lavoro assurdi e stipendi da fame, e quando protestano vengono bastonati: ieri nella scuola Diaz, oggi davanti all’università, come nelle dittature. È per questo che abbiamo rischiato la vita? Credevo nella politica. E nella giustizia assoluta: a vent’anni l’ingenuità è inevitabile. Combattere il Duce significava distruggere l’idea – anche l’idea – che la politica potesse dominare il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario.

Con la Repubblica avremo un ordinamento democratico, pensavo. È così? Oggi il ministro Nordio depotenzia la magistratura, favorisce la candidabilità dei condannati, bombarda i giudici. “Lotteremo la corruzione”, dicono, in realtà attaccano i magistrati che devono combatterla. Cosa resta dei miei ideali, delle speranze che mi spinsero tra i partigiani in una guerra che fu – anche – guerra civile? Dice bene Calamandrei: la Resistenza è il primo atto della costruzione della nuova Italia. Tuttavia, questa nuova Italia io non la vedo, la destra al potere fatica a riconoscere (anche) la natura antifascista della Costituzione. Sono passati settantotto anni e i principi della Carta sono calpestati. Anche la scuola, che volevamo pubblica e libera, è umiliata da riforme che ne snaturano la funzione. I privati hanno diritto a istituire scuole? Certo che sì. “Senza oneri per lo Stato”, recita la Costituzione, ma è un aspetto trascurato dai nostri “statisti”.

Troppe cose ha trascurato anche il Partito Democratico. Fratelli d’Italia è al potere perché la sinistra è scomparsa dalle periferie e dai luoghi del bisogno; perché ha fatto (e fa) politiche di destra e alla fine la gente ha scelto direttamente la destra di Meloni. Infine: “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali… e promuove la pace.”. È un’idea forte e giusta. La politica è mediazione. Altrimenti a che serve? Ma oggi inviano armi in Ucraina e perpetuano la guerra; programmano l’uso delle armi (anche dell’uranio impoverito) e si dichiarano cristiani. Assurdo. Ho letto Scemi di guerra. L’espressione è forte, ma dice delle verità.

No, non sono contento ora che – proprio il 25 aprile – compio novantotto anni. Avrei voluto festeggiarli in un’Italia migliore, senza brutture, dove la giustizia domini; la libertà di pensiero regni; dove non chiudano programmi Tv scomodi che parlano di mafia; dove si possa fare satira sui ministri; dove… l’elenco è infinito e sono stanco. Mio fratello è morto nella guerra partigiana e anch’io ho rischiato la vita per la libertà. Qual è il risultato? Renzo, un condannato a morte della Resistenza, felice di aver combattuto per la libertà, la giustizia, la democrazia, scrive: “…sono parole che mi escono dal cuore in questo triste e bel momento di morte”. Sta per essere fucilato, Renzo, ma vive un “bel momento di morte”. Significa: il mio dolore vi salva.

Ne valeva la pena se penso al disastro politico di oggi, alla devastazione morale che sembra non lasciare scampo?

Post scriptum. Il partigiano che ho immaginato nell’articolo è addolorato, ma crede ancora che i partiti e i movimenti di sinistra, unendosi, possano far rinascere il Paese.

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