Cultura

Andrea Villa, la storia dello street artist torinese senza volto diventa un documentario: “Le mie opere sulle vetrine? Così c’è l’effetto sorpresa”

di Simone Bauducco

Andrea Villa è il “Bansky di Torino”. Ha iniziato a realizzare le sue opere sotto la Mole nel 2014. Una serie di falsi manifesti affissi nelle vetrine pubblicitarie della città per colpire con ironia i politici e le loro contraddizioni. Nei suoi lavori, Salvini diventa testimonial Gilette con un rasoio rovesciato che gli genera un baffetto da Hitler sul volto, Adinolfi sponsorizza la “Eau di Nolfi” e Appendino propone il “Pugn e mes” per “l’apericelere” dopo le cariche della polizia in una piazza della movida torinese. Il suo percorso artistico è iniziato nel capoluogo sabaudo ma è arrivato in tutta Europa, anche a Lesbo dove Villa ha realizzato delle “colonne d’Ercole” con copertoni in solidarietà ai migranti. La sua storia è stata raccontata nel documentarioQuesto spazio può essere tuo” diretto dal regista Alessandro Bernard (produzione “Fargo film productions e I cammelli”) che verrà proiettato in anteprima al cinema Ambrosio di Torino il 19 aprile alle 21. Le riprese sono durate quasi cinque anni e ripercorrono il cammino artistico e politico di Villa. Un racconto che assume toni da film d’azione quando la troupe segue l’artista di notte nelle sue incursioni protetto da una maschera a specchio. Ad oggi il suo volto è ancora sconosciuto ma nel documentario (forse) sarà svelato. “Mi maschero soprattutto perché rappresento la società e provo a riflettere quello che accade” racconta al fattoquotidiano.it. Ma nel documentario spiega anche che è stata una scelta per tutelarsi dopo che alcune sue opere avevano generato un’ondata di messaggi violenti e intimidazioni contro di lui anche da gruppi dell’estrema destra.

Quando ha realizzato la prima opera?
Nel 2014, era uno striscione che riprendeva il quarto stato di Pelizza da Volpedo dove erano rappresentati i contadini che marciavano. Ma al loro posto c’erano i volti dei politici. Il sottotitolo? Solo chiacchiere e vitalizio.

Qual è stata la molla che l’ha spinta?
Da ragazzo non mi sentivo rappresentato dai politici, sentivo che in quanto ragazzo sembrava non avessi voce. Mi sembrava che i giovani non potessero esprimersi in televisione mentre veniva data visibilità a politici che non rappresentavano le idee. E dunque ho provato ad avere una voce in capitolo da artista. La mia è una forma di art-ivismo perché provo a esprimere opinioni su temi sociali e politici.

Qual è il filo conduttore delle sue opere?
Ho deciso di spostarmi su temi più sociali perché i temi politici mi stufavano e perché la politica ormai diventava più parodistica della parodia e dunque perdeva di mordente. Adesso cerco di lavorare solo su temi internazionali per parlare di cosa succede nel mondo

Perché attacca le sue opere sulle vetrine pubblicitarie e non sui muri?
La gente non si aspetta che che l’opera sia in quel posto, crede che i miei lavori siano delle pubblicità autentiche e quando scoprono che sono dei lavori di uno street artist rimangono sorpresi. Il fattore della scoperta è quello che dà potenza ai lavori. E capita molto spesso che i lavori vengano scambiati per veri.

Qual è il suo bersaglio preferito?
La cultura nazionalista. L’ultimo lavoro che ho fatto era sui Bronzi di Riace. Si chiamava “Italy’s Gay”. Io attacco il nazionalismo perché è ideologia e non riflette la realtà dei fatti. Loro si rifanno alla cultura classica ma in realtà nella cultura classica l’omosessualità era normalità.

Qual è stata la reazione ad una tua opera che ti ha sorpreso di più?
Quella che è avvenuta dopo l’affissione di Teachers do sex, un manifesto in cui avevo coinvolto alcune fan che erano maestre. Mi hanno mandato delle loro foto in intimo per solidarizzare con una maestra licenziata dalla preside dopo essere stata vittima di revenge porn. Da lì è iniziata la collaborazione anche con realtà come “Break the Silence” una no profit che tutti i giorni si occupa di violenze e abusi.

Chi è Andrea Villa oggi?
Sono stato chiamato “street artist 2.0” perché i miei lavori stanno poco tempo per strada mentre diventano molto virali sui social. Dunque non conta più la strada ma il discorso digitale. Per questo mi definisco un artista crossmediale perché lavoro con vari media, in particolare quello digitale.

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