Del partito unico sono rimaste le macerie, ma gli insulti tra i due promotori sembrano essere appena agli inizi. Carlo Calenda e Matteo Renzi sono ben oltre il volo degli stracci. Frasi al vetriolo, accuse fulminanti e colpi bassi così violenti forse non li avrebbero messi in fila neanche i loro peggiori nemici. E invece i Fratelli coltelli della politica italiana dicono di voler tacere ma, come nella natura dei due personaggi, finiscono per rispondere, contrattaccare e spargere sale sulle ferite dell’ormai ex alleato. Uno, il leader di Azione, annuncia il silenzio stampa e mezz’ora dopo infila tweet in serie che sono colpi di rasoio: “Prende i soldi dall’assassino di Khashoggi”, tanto per iniziare. L’altro, plenipotenziario di Italia Viva, sostiene di non voler replicare ma finisce per mettere in chiaro la vera ragione dell’alleanza maturata ad agosto, cioè la necessità per Calenda di avere un simbolo a cui appoggiarsi per non dover raccogliere in poche settimane le firme necessarie per le candidature. Gli strascichi dell’addio al partito unico di centro sembrano essere solo agli inizi e sono già velenosissimi, nonostante la necessità di mantenere il gruppo parlamentare per ragioni economiche.

Il match di boxe tra i due aspiranti leader del “centrino” inizia poco prima 10, quando da Azione filtra che il segretario ha chiesto ai suoi di mantenere un rigido silenzio stampa e di non rispondere agli insulti scomposti di Renzi, Boschi e da altri esponenti di Italia Viva: “Abbiamo spiegato le nostre ragioni, ora basta. Lo spettacolo che stanno dando in queste ore Renzi, Boschi e i renziani di complemento è indecoroso e non dobbiamo parteciparvi”. Alle 10.26 è però proprio Calenda a romperlo con un attacco violentissimo: “Nella vita professionale non ho mai ricevuto avvisi di garanzia/rinvii a giudizio/condanne pur avendo ruoli di responsabilità. Non ho accettato soldi a titolo personale da nessuno, tanto meno da dittatori e autocrati stranieri”, è il preambolo del senatore.

Il nome di Renzi non compare mai, ma i riferimenti sono limpidi: “Non ho preso finanziamenti per il partito da speculatori stranieri e intrallazzatori. Non ho mai incontrato un magistrato se non per ragioni di servizio. Mai sono entrato nelle lottizzazioni del Csm”, continua. Quindi si rivolge direttamente a Francesco Bonifazi, fedelissimo ultrà renziano che in un’intervista a La Stampa aveva lo aveva definito “strutturalmente inaffidabile” e aveva aggiunto che “è sempre in tv e non è mai in Parlamento: ci vorrebbe un po’ di pudore prima di attaccare noi su questo tema”.

“A Bonifazi che mi accusa di assenze. È una classifica fatta su 25 giorni di voti già superata. Quando non ero in Senato ero a fare iniziative sul territorio per Azione e Iv – è la risposta al senatore e tesoriere di Italia Viva – Non ero a Miami con il genero di Trump o in Arabia a prendere soldi dall’assassino di Khashoggi. Tanto dovevo di spiegazioni sulle polemiche di questi giorni e sul tentativo di renderle ‘caratteriali’ piuttosto che politiche. Da ora Azione entra in silenzio stampa. Lasciamo la melma a chi ci sta bene dentro”. Un ritorno al periodo pre-elettorale, insomma, quando da Calenda erano arrivate numerose bordate a Renzi per il doppio ruolo di politico e conferenziere pagato dal suo “amico” Mohammad bin Salman. Da Italia Viva si fanno avanti Roberto Giachetti e ancora Bonifazi. Ma è solo l’antipasto della risposta, servita direttamente da Renzi nella sua e-news: “In queste ore Carlo Calenda sta continuando ad attaccarmi sul piano personale, con le stesse critiche che da mesi usano i giustizialisti. Sono post e tweet tipici dei grillini, non dei liberal democratici. Tuttavia io non replico”. Come accaduto spesso nella sua vita politica, la promessa va a farsi benedire subito dopo.

L’ex presidente del Consiglio è un fiume in piena: “Se sono un mostro oggi, lo ero anche sei mesi fa quando c’era bisogno del simbolo di Italia Viva per presentare le liste. Se sono un mostro oggi, lo ero anche quando ho sostenuto Calenda come leader del Terzo Polo, come sindaco di Roma, come membro del Parlamento europeo. O addirittura quando l’ho nominato viceministro, ambasciatore, ministro”. Sfogo finito? Macché: “Sul garantismo di chi paragona un avviso di garanzia a una condanna non ho nulla da aggiungere – attacca ancora il leader di Italia Viva – Sull’arte politica di chi distrugge un progetto comune per la propria ira non ho nulla da aggiungere. Sulla serietà di chi attacca le persone per non confrontarsi sulle idee non ho nulla da aggiungere”.

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