“Renzi non ha mai voluto fare un partito. Messo alle strette ha provato a rifilarci una ‘solà e non gli è riuscito. Allora ha fatto saltare tutto. Ora ignoriamo gli insulti, la cagnara dei finti profili di IV etc. e andiamo avanti a fare politica come l’abbiamo sempre fatta: in modo onesto, trasparente e sui contenuti”. Con un tweet Carlo Calenda tenta di sedare così la montagna di polemiche, insulti e dileggi che accompagnano il naufragio del Terzo Polo, ormai diviso da tutto e unito dall’unico collante della “roba”, cioè i soldi: 14 milioni di spese dei gruppi in 5 anni, 4 milioni già raccolti da finanziatori privati, 1,6 milioni (800mila euro a partito circa) raccolti col 2xmille.

Che questa sia la linea lo ha ribadito ieri sera lo stesso Matteo Renzi a Radioleopolda: “Nei gruppi parlamentari – aggiunge – noi siamo per andare avanti insieme”. Che di soldi si sia parlato, e tanto, lo dimostra poi una delle 10 slide che Renzi fa circolare con le “fakenews sulla rottura”: la n.1 nega che sia avvenuta per “motivi politici” ma solo personali, la n.2 (non la 8 o la 9 ma proprio la seconda) confuta l’accusa mossagli da Calenda: “Renzi non vuole girare i soldi al partito unitario“. L’altro risponde citando il documento con cui si faceva a mezzo delle spese fino al congresso, dopo il quale i soldi sarebbero stati gestiti dal partito unitario. La collocazione dopo il primo punto è di per sé significativa.

Perché tenere insieme due forze politiche mentre il progetto comune naufraga in una marea di insulti l’abbiamo scritto ieri: per i 14 milioni di euro di fondi che i due partiti perderebbero in cinque anni se si dividessero, perché a quel punto nessuno dei due avrebbe il numero minimo di eletti per formarne uno proprio (20 alla Camera, 6 al Senato) e perderebbe tutti quei soldi. Per dare la misura, sono circa 10mila euro al mese ciascuno tra auto, sondaggi, multe, collaboratori, materiale di comunicazione etc. Anche da qui si capisce l’urgenza della convenienza senza esser convolati a nozze. Scelta imposta anche da un altro problema che già si profila: ma chi li finanzierà più?

Quando Renzi e Calenda si unirono attorno al progetto di un Terzo Polo riformista il ghota dell’imprenditoria e della finanza, indotto anche da una stampa molto favorevole, si spellò mani e portafogli per quell’impresa che alle politiche aveva raccolto l’8%. Tanto da versare nelle loro casse 4 milioni di euro a titolo di “erogazione liberale”. Le ultime alla fine del mese scorso, quando già i capitani del Titanic riformista già s’azzuffano sul ponte di comando (anche) per la gestione dei finanziamenti. Il tutto a un mese dalle amministrative e due dalle europee.

Nell’elenco dei finanziatori spicca il patron Prada Maurizio Bertelli che negli due anni ha versato ad Azione 100mila euro. Sempre nella moda la famiglia Zegna, che al Terzo Polo ne ha donati 60mila, quindi Loro Piana che ne ha versati 130mila, l’ultima tranche a fine marzo. Nel settore sanitario c’è il patron di Technit e Humanitas Gianfelice Rocca che ha versato 100mila euro. Confindustria aveva scommesso tanto nella convinzione che il progetto di Renzi e Calenda avrebbe fatto molta strada: Alberto Bombassei cala una fishes da 100mila euro sul tavolo dei terzopolisti, insieme all’ex presidente Antonio D’Amato, Ad Alessandro Banzato (già Federacciai) e Giovanni Arvedi, alla guida del colosso dell’imprenditoria siderurgica. Scendono in campo anche i signori del cemento come Pietro Salini (Webuild) che punta al Ponte di Messina. E vede crollare quello tra i due beneficiati.

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