Nell’ultimo libro di Marco Travaglio sono molto ben documentati i cambi repentini nel modo di ragionare adottati dalle élite dei giornalisti e da gran parte del personale politico. Appare incredibile constatare che chi fino a ieri si dichiarava votato alla pace, come indica la costituzione italiana, ora evochi l’annientamento del nemico come unica soluzione. Il popolo è apparso, almeno nei sondaggi, più consapevole della stupidità della retorica bellicista ma gradualmente si sta assuefacendo all’idea che l’escalation sia ineluttabile. Non ci meraviglieremmo e forse non protesteremmo neppure se fra qualche settimana un contingente di soldati italiani venisse spedito al fronte. Questo sarebbe il preludio della guerra totale, in quanto anche solo pochi morti per mano dell’odiato nemico verrebbero additati come pretesto per un coinvolgimento massiccio.

La situazione odierna mi ha fatto ripensare a un vecchio carteggio fra Einstein e Freud risalente al 1932 in cui si evocava il timore di quella che poi fu la seconda guerra mondiale. I due pensatori si interrogavano vicendevolmente per cercare di comprendere i motivi che stavano portando al disastro annunciato e proponevano delle soluzioni. Molto sinteticamente Einstein vedeva la causa nell’aggressività umana e immaginava che solo un organismo sovranazionale (all’epoca esisteva la Società delle Nazioni) dotato di rilevante forza potesse impedire un conflitto. Freud vedeva la causa più nell’intimo dell’uomo, nell’inconscio, in cui ipotizzava l’esistenza accanto all’istinto alla vita di un istinto di morte e come antidoto immaginava maggiori relazioni fra gli individui e i popoli con comprensione reciproca.

In questi 90 anni dagli scritti di Einstein e Freud si è costituito l’Onu che è una sede di possibile confronto. Seppur non dotato di forza propria, è in grado di esprimere una posizione e, soprattutto, permettere agli opposti schieramenti una valutazione dei rispettivi punti di vista. Le comunicazioni sono enormemente aumentate per cui in ogni momento gli attori del conflitto si possono parlare. La globalizzazione ha portato a scambi commerciali e umani enormi, per cui sappiamo che i nemici non sono “alieni” ma molto simili a noi. Eppure le ragioni della guerra e la spinta a “distruggere” il nemico continuano.

Alcune sere or sono mi ha colpito un servizio giornalistico nel telegiornale di maggior ascolto, in cui si vedeva un povero soldato ucciso. Il commento era trionfante in quanto si trattava di un nemico. Quando abbiamo perso la nostra umanità? Quando abbiamo cominciato a pensare che la soluzione sia uccidere tutti i nemici?

Esistono tre livelli di intelligenza. Il termine significa letteralmente “leggere dentro” e indica la capacità di comprendere. La più conosciuta e intuitiva è l’intelligenza razionale, cioè la capacità di capire cosa succede, come sono fatte le cose (motori, computer etc). Purtroppo si tratta di una capacità molto fallace per quanto attiene alla guerra, in quanto condizionata da altre forze interiori. Con la ragione posso trovare tutte le argomentazioni di uno schieramento in guerra e dopo pochi minuti individuare tutte quelle del nemico. A mio avviso l’intelligenza razionale non ha alcuna utilità per affrontare le vere ragioni della guerra. Purtroppo l’intelligenza razionale serve solo a fare bene la guerra trovando i modi per distruggere più speditamente il nemico.

Il secondo tipo di intelligenza è quella emotiva. Si tratta della capacità di capire se stessi e gli altri a livello di emozioni. Può avere una certa utilità nel conflitto perché se esercitata porterebbe a comprendere la paura dell’altro. I russi si sono sentiti accerchiati negli ultimi 50 anni dal nemico. A sua volta la Nato, che ricordiamo è una organizzazione difensiva e non offensiva, ha cercato negli anni di proteggere i popoli che si appellavano a lei vessati in passato da dittature ed è intervenuta per aiutare un popolo invaso. In ultima analisi tutti hanno paura, non vogliono concordare la pace perché il timore li porta a ritenere che cedere qualcosa comporti una resa ancora più disastrosa in futuro.

Il terzo livello di intelligenza è quella del desiderio. Si tratta, come ho cercato di spiegare nel mio ultimo libro intitolato Intelligenza del desiderio, della capacità di comprendere i propri desideri e quelli degli altri. A questo livello emerge il bisogno dei russi di non perdere lo status di superpotenza per essere relegati a comprimari di secondo ordine della storia. Sull’altro versante esiste il desiderio degli Usa di essere riconosciuti come unica potenza globale con diritto di imporre il proprio ruolo di sceriffo. Questi due desideri sono presenti nei leader ma anche nella popolazione, per cui è un’illusione che un cambio della guardia in Usa, tramite elezioni, o in Russia, con eventuale colpo di stato, possa modificare i bisogni profondi dei popoli.

Solo la comprensione tramite l’intelligenza emotiva e l’intelligenza del desiderio dei bisogni profondi, che derivano dalla loro storia millenaria, potrà aiutarci a disinnescare la spirale che porta alla guerra. L’idea di rendere autonome con l’arrivo di caschi blu dell’Onu le regioni abitate sia da persone che si sentono ucraine sia da altri che invece si ritengono russi potrebbe essere sensata, se non portasse con sé a livello emotivo l’idea di aver ceduto e che questo sarà l’anticamera di una sconfitta totale.

Dovrebbe inoltre esserci un reciproco riconoscimento per cui i russi possano ancora sentirsi appartenenti alla Grande Russia imperiale e gli Usa detentori del ruolo di superpotenza. Insomma bisogna capire a livello razionale che la causa è a livello emotivo e istintivo: la paura di perdere la faccia, di essere soggiogati e di “abbandonare il proprio ruolo nella storia”.

Articolo Precedente

Torino, sono tornato alla Falchera per parlare in una scuola. E ho capito che il mondo è già cambiato

next