Ed ora che Elly Schlein ha commissariato il Pd della Campania in chiave anti Vincenzo De Luca, al grido “basta coi cacicchi e i signori delle tessere”, che succede? “Se la chiave è questa, non succederà niente – ragiona ad alta voce un militante dem napoletano di lungo corso – De Luca, se lo statuto glielo consentirà, tra tre anni si candiderà comunque per il terzo mandato: con le sue liste civiche, la sua cozzaglia di transfughi e trasformisti, con o senza il Pd”. Del resto, le recenti battute di De Luca portano in quella direzione, basta tornare indietro a fine gennaio: “Nessun tetto ai mandati: o mettiamo tetti a tutti quanti, sarebbe demenziale ma coerente, oppure non si capisce il tetto. Io, se la salute me lo consente, mi candiderò in eterno…”.

Sul punto, il neo commissario del Pd campano, il senatore ed ex viceministro dell’Economia Antonio Misiani, esponente dell’area Orlando-Sarracino, la più avversa a De Luca, butta la palla in tribuna: “La questione ha valenza generale e verrà affrontata a livello nazionale”. In parallelo al disegno di legge di matrice centrodestra, che vorrebbe allungare a tre il limite di mandati dei sindaci. Mentre il neo eletto segretario napoletano dei dem, Giuseppe Annunziata, in un’intervista al Mattino mette le mani avanti. “Si vota nel 2025, in politica è un’era geologica”.

Tre anni sono tanti ma non tantissimi, e per De Luca candidarsi con o senza Pd farebbe una certa differenza. Il governatore sa che la decisione di commissariare il partito campano, e quello di Caserta (inquinato da un tesseramento gonfiato) con la senatrice ed ex segretaria Cgil Susanna Camusso, segna un punto di non ritorno. Mette in moto subito dinamiche dalle conseguenze imprevedibili. Tra le quali anche la ricerca di un candidato che possa convincerlo che tra tre anni il suo tempo politico sarà finito. E che l’anomalia di un De Luca senior alla guida di una Regione e un De Luca jr, Piero, deputato, (e forse un altro De Luca jr, Roberto, in pista al Comune di Salerno), non può durare per sempre. E non può più essere tollerata da una segreteria Schlein – ancora da definire, la segretaria ha preferito prima affrontare la questione Campania – che ha messo ai primi punti dell’agenda politica la lotta ai sultanati, ai capibastone e ai familismi.

Proprio intorno alla sorte di Piero De Luca ruotano nuovi scenari ed equilibri da formare. In queste ore alla Camera si voteranno i nuovi vice capigruppo. L’uscente De Luca jr potrebbe essere silurato, come conseguenza del sostegno della famiglia deluchiana alla mozione Bonaccini. Dall’esito di questa vicenda potrebbero dipendere i futuri rapporti tra il Pd a trazione De Luca – consiglieri regionali che rispondono solo a lui, e l’intero Pd di Salerno – e il neo commissario Misiani. Non è un caso che un primo incontro tra De Luca e Misiani, in agenda ieri a Palazzo Santa Lucia, è stato rinviato a dopo Pasqua per non meglio precisati impegni istituzionali. Misiani è stato spedito per provare a mettere mano ai problemi atavici del Pd campano: la sudditanza a De Luca, l’assenza di un profilo autonomo, la commistione eccessiva tra partito ed amministrazione.

Se non ci fosse stato il commissariamento, la tavola era stata imbandita per eleggere segretario regionale Rosetta D’Amelio. Mozione Bonaccini, ex assessora di Bassolino, componente dello staff di De Luca. Con un sostanziale patto di non belligeranza con gli esponenti della mozione Schlein. Ma c’era da sciogliere il nodo del tesseramento monstre di Caserta, congelato dai ricorsi e non approvato, inquinato da un fiume di adesioni raccolte nelle tabaccherie, aggirando le regole di identificazione dei pagamenti.

Qui si è consumato uno scontro tra il presidente della commissione regionale per il congresso, l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, e il vicepresidente della Campania Fulvio Bonavitacola, con quest’ultimo fautore di una linea singolare: votare D’Amelio anche senza i tesserati casertani. Una linea che non è passata, ma che è stata tirata fino al punto di spezzare la corda della pazienza di Roberti, che chiedeva tempo su input del Nazareno. Alla fine Roberti si è dimesso. Le sue dimissioni sono state il sassolino dal quale è partita la valanga del commissariamento.

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