Il Giappone si smarca dall’alleanza occidentale e decide di comprare il petrolio russo pagandolo più di 60 dollari al barile. Ovvero sforando il price cap fissato dai paesi del G7 di cui il Giappone fa parte, dall’Unione europea e dall’Australia. Lo scrive il quotidiano statunitense Wall Street Journal che segnala anche come Tokyo sia stata autorizzata dagli Stati uniti a infrangere la soglia in virtù della sua forte dipendenza dalle forniture di Mosca. Lo stesso quotidiano rimarca però anche come la decisione giapponese sia una prima crepa nella compattezza del fronte occidentale. “Non è che il Giappone non possa fare a meno degli idrocarburi russi, semplicemente non lo vogliono fare”, commenta James Brown, professore al campus giapponese della Temple University ed esperto in relazioni tra Mosca e Tokyo. Nei primi due mesi di quest’anno, il Giappone ha acquistato circa 748mila barili di petrolio russo per un totale di 6,9 miliardi di yen (5o milioni di euro) pagandolo poco meno di 70 dollari al barile.

La Russia dispone delle settime riserve di greggio al mondo (108 miliardi di barili) ed è il terzo produttore dopo Stati Uniti ed Arabia Saudita. Sebbene il paese stia esaurendo le riserve più a buon mercato (ossia quelle con bassissimi costi di estrazione), il petrolio continua a portare nelle casse del Cremlino fiumi di denaro. Nel 2019, ultimo anno “normale”, Mosca ha incassato 190 miliardi di dollari dalla vendita di greggio, il 44% di tutte le sue esportazioni e ben al di sopra dei 50 miliardi garantiti dalle vendite di gas. Il tetto al prezzo che i paesi membri dell’alleanza sono autorizzati a pagare per il petrolio russo è stato considerato da molti osservatori piuttosto morbido. Tale da assicurare al Cremlino proventi per finanziare una “guerra senza fine” in Ucraina. Il price cap viene implementato soprattutto attraverso il sistema assicurativo dei carichi, quasi totalmente basato a Londra. Se si supera il tetto il carico non può essere assicurato né i trader possono ottenere finanziamenti dalle banche. Questo argine è stato però in parte aggirato dalla Russia triangolando le spedizioni con società domiciliate all’estero, principalmente a Dubai. Sebbene la Russia stia vendendo il suo greggio a sconto rispetto alle quotazioni di mercato (82 dollari al barile) anche a paesi che non aderiscono al price cap, la domanda internazionale rimane, anche per questa ragione, robusta. Cina, India, Brasile e Turchia sono solo alcuni dei paesi che hanno aumentato i loro acquisti di barili russi approfittando della loro convenienza.

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