Il ddl a prima firma Alberto Balboni prevede che “chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, determini o rafforzi l’altrui proposito di ricorrere a condotte alimentari idonee a rafforzare o provocare disturbi del comportamento alimentare e ne agevola l’esecuzione, è punito con la reclusione fino a due anni e la sanzione amministrativa da euro 20mila a 60mila”. È apprezzabile che la politica prenda in considerazione un disagio grave, complesso e dilagante come quello dei disturbi del comportamento alimentare, patologia strettamente legata al discorso sociale che conosce un drammatico aumento esponenziale tra i giovani.

Ma la legge, da sola, non può tutto. La mancanza di una componente clinico teorica che sostenga e integri questo ddl, sanzionatorio per chi istiga atteggiamenti anoressizzanti, rende improbabile che questo possa avere reali effetti sul contrasto alla diffusione dei dca.

È importante sottolineare che nessuna patologia che si manifesti sotto forma di dipendenza o di sofferenza nel corpo può essere contrastata esclusivamente con la legge. Non hanno infatti avuto successo le leggi che proibivano l’uso delle droghe, o che hanno cercato di limitare l’alcool, o il gioco d’azzardo. Una lex esclusivamente punitiva sortisce, per paradosso, l’effetto di aumentare il consumo delle medesime sostanze in zone opache della città, come bene ha insegnato la lezione del proibizionismo. Si tenga inoltre presente che, a differenza delle situazioni sopra citate, nelle quali gli oggetti per farsi male – o per procurare godimento per dirla con la psicoanalisi (droga, alcolici, slot machines, sigarette etc.. ) – sono venduti da qualcuno che è evidentemente interessato a trarne lucro; nel caso dei dca gli sproni a dimagrire, i consigli per usare i lassativi o per ingannare il dietista (parole d’ordine nei gruppi pro anoressia), non hanno quasi mai un retro pensiero economico. Non cercano denaro, quanto piuttosto desiderano diffondere il verbo della magrezza estrema e reclutare adepti.

Quante volte le ragazze e i ragazzi che ne soffrono escono dal nostro centro e, nottetempo, partecipano ad uno dei tanti gruppi in rete nei quali si danno consigli su come fregare lo psicologo, ingannare il nutrizionista, falsare il proprio peso, gettando i genitori nello sconforto. Sono questi i cosiddetti gruppi ‘pro-ana’: comunità virtuali all’interno delle quali si danno indicazioni minuziose e particolareggiate su come perdere peso, si indicano stratagemmi per ossificare il corpo, metodi per dimagrire privi di qualsiasi cognizione medico scientifica. La loro pericolosità è acclarata, disfano nella notte quella tela che di giorno i professionisti tessono con pazienza. Reclutano molte ragazze e ragazzi ammalati, ancora prigionieri dell’idea tossica di dover portare il corpo alla consunzione, rendendoli facile preda di guru o soggetti privi di scrupoli che fanno del corpo magro la loro religione di vita.

Chi sostiene che punire non serve, non conosce la pericolosità di incitamenti al dimagrimento forzato in soggetti fragili, che hanno spesso esiti tragici. In tempo pandemico abbiamo visto in studio ragazze arrivare in pericolo di vita perché, chiuse in casa per due anni, sono cadute nelle losche mani di finti ‘preparatori’ o improvvisati dietisti privi di qualsiasi qualifica, i quali propinavano senza remore morali, e a volte dietro pagamenti, diete drastiche e programmi di ‘allenamento’ finalizzati al calo ponderale senza limiti. E’ giusto punire costoro? Certo, è sacrosanto.

Il legislatore dovrebbe essere però aiutato a integrare la sua proposta non crocefisso, come sta accadendo da più parti. Una parte del Pd che lo accusa di mostrare il solo lato ‘manettaro’, dimentica che nel 2014 simile proposta venne avanzata dalla allora deputata dem Michela Marzano e venne co firmata da esponenti di tutte le forze politiche (Carfagna, Vezzali, Binetti). Ma punire chi istiga tali comportamenti senza fornire una dotazione teorico-clinica e nozioni ad operatori, insegnanti, famiglie, medici a scopo preventivo non ha futuro. Risulta difficile pensare che si potrà adire per vie legali contro persone che, attraverso i social network, possono in un pomeriggio raggiungere centinaia di amici e amiche creando in pochi minuti questi gruppi chiusi, rigenerandoli altrove una volta bloccati dalla legge.

E le case di moda, allora? Possono essere considerate ‘istigatrici’ a comportamenti alimentari scorretti, e pertanto punibili, quelle maisons che ancora fanno sfilare modelle emaciate e drammaticamente sottopeso? Per non parlare delle denunce riportate delle ginnaste che hanno reso pubblico il sistematico utilizzo di atteggiamenti vessatori ed anoressizzanti.

Dunque se la legge è solo punitiva, fallirà. Promulgata sicuramente con buone intenzioni, ma con evidente carenza di una base clinico-teorica, diventerà uno striscione dietro al quale marciare, da sbandierare ogni qual volta la drammaticità di questa patologia sbuca dai notiziari, tramutandosi in una vuota richiesta di ‘punire i colpevoli’. Se invece il legislatore saprà affiancare l’aspetto punitivo a quello formativo ed informativo, potenziando i canali di formazione ed informazione che possano raggiungere i ragazzi nel pieno del cambiamento del loro corpo, allora potrà dare realmente un contributo alla prevenzione e al trattamento dei disturbi alimentari, tra le prime cause di morte nel mondo adolescenziale.

Istruire i medici, potenziare le reti territoriali che si occupano dei disturbi alimentari. Rendere strutturale nelle scuole un momento formativo e divulgativo su questi temi, dare alle famiglie gli strumenti per riconoscere l’insorgenza della malattia sin dai primi segnali. Solo in tal modo la legge potrà dirsi completa.

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