di Valerio Pocar

L’ennesima tragedia dei morti in mare davanti alla costa crotonese, alla quale già ne sono seguite altre, ha risollevato polemiche purtroppo non dissimili da quelle che durano ormai da anni. Le disumane parole del ministro in merito ai genitori “irresponsabili” che mettono a rischio la vita dei figli in viaggi azzardati, parole prontamente e ovviamente edulcorate sono rivelatrici dell’atteggiamento del governo in carica (ma purtroppo non solo di questo) giustificato con falsa ingenuità dalla sua presidente (“davvero pensate che abbiamo voluto lasciarli morire?” e non ci sarebbe mancato altro, se non fosse appunto successo), la quale ha ben lasciato capire quanta empatia nutra per queste vittime, sia i morti sia i vivi, con comportamenti conseguenti tanto cinici quanto indecorosi, tra omissioni, assenze, bugie e karaoke.

Ciò che i potenti del mondo dovrebbero capire è che le ragioni delle migrazioni sono epocali ed è per lo meno inutile contrastarle andando in cerca di responsabilità, troppo vaste e imprecisate, e che a fronte di un fenomeno al quale non si può pensare di opporsi occorre piuttosto studiare come gestirlo. Anche perché non tutto il male viene per nuocere.

Viviamo su un pianeta sovrappopolato. La sovrappopolazione umana è la prima ragione perché il pianeta stesso si trova a rischio di rovina e non l’ultimo motivo delle migrazioni. In alcune aree del pianeta, però, il problema della sovrappopolazione non sussiste e, al contrario, preoccupa il calo demografico. In diverse aree sviluppate del pianeta, ora persino in Cina come non si sarebbe pensato fino a pochi anni or sono, il saldo tra nati e morti è negativo. Si tratta del cosiddetto “inverno demografico” deplorato dal Santo Padre il quale, per quanto cattolico, non ha evidentemente una visione universale della situazione di fame e di guerre che la sovrappopolazione provoca e più provocherà.

I due fenomeni di cui abbiamo parlato, migrazioni e calo demografico, ci sembrano assai strettamente collegati e in un certo senso anzi interdipendenti. Da un lato, tenendo conto della realtà attuale, occorre accettare e anzi persino favorire le migrazioni dalle aree sovrappopolate a quelle in calo demografico. L’esempio del nostro Paese è eloquente. Ormai anche gli immigrati di prima generazione hanno ridotto il loro tasso di natalità e le imprese specialmente quelle agricole, ma non solo, bisognose di manodopera sono costrette a reclamare flussi migratori crescenti. Per tacere delle numerose attività che gli autoctoni non vogliono o non possono svolgere.

A fonte di un problema globale occorre il coraggio o, se volete, il cinismo di studiare una soluzione globale vale a dire la redistribuzione planetaria della sovrappopolazione verso i paesi che versano in deficit demografico. Tale redistribuzione potrebbe innescare il meccanismo virtuoso di una generale riduzione della crescita demografica benefica per l’intero pianeta.

L’esempio costante nella storia mostra che all’aumento del benessere, all’affermarsi di stili di vita più affluenti, al miglioramento dell’istruzione specialmente femminile, all’adozione di costumi più democratici consegue, non subito, ma sempre, sul medio o lungo periodo, una riduzione del tasso della natalità. Sarà bene arrivarci prima che il pianeta “scoppi” a motivo dell’inevitabile aumento della popolazione che consuma.

Nel breve futuro, dunque, occorreranno politiche lungimiranti e anche più solidali capaci di contrastare la crescita demografica prendendosi atto che il pianeta non è in grado di sostenere un ulteriore aumento della popolazione umana e certamente non in grado di mantenere il livello di benessere e di vantaggi di cui una parte del mondo gode e meno ancora di offrirli a quella parte che non ne gode, ma al quale non ingiustamente aspira. Per quanto generosa la mammella della mucca-pianeta non può dare più latte di quello che ha.

Rivolgiamo un pensiero affettuoso e riconoscente alle mucche, ai maiali, alle galline, ai pesci e a quanti muoiono per sostentarci, ma non dimentichiamo che le morti innocenti alla fine ricadono sui colpevoli. Vale anche per le vittime umane.

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