E’ una pessima notizia la bocciatura da parte della maggioranza dell’emendamento, presentato da Stefania Ascari, che intendeva intervenire sull’articolo 384 del codice di procedura penale. Tale emendamento voleva estendere il ‘fermo di indiziato di delitto’ a chi fosse ‘gravemente indiziato di atti persecutori’. L’articolo 384 dunque continuerà a prevedere lo stato di fermo giudiziario in casi di flagranza di delitto o di pericolo di fuga, ma non nei confronti dei persecutori di donne, i cosiddetti ‘stalker’.

Il legislatore non sa, o non vuole sapere, che la reiterazione dell’atto persecutorio da parte dei picchiatori di donne è ciò che maggiormente anima e sostiene le loro menti, non certo la fuga. Questi individui, che clinicamente si definiscono ‘perversi’, non solo non hanno la minima intenzione di far perdere le loro tracce dopo il reato ma, al contrario, si preoccupano di lasciarne di ben visibili e riconoscibili dalla vittima, piantando nel terreno attorno alla malcapitata segnali di presenza utili a mantenere quel delirante stato di ‘padronanza’ che sovente anima le loro menti.

Come ho più volte motivato individui di questo tipo si sostengono sul desiderio di imporre un dominio fisico o piscologico sulla vittima prescelta, relegandola a stato di oggetto controllabile e non alienabile. Per questo il loro essere il più possibile vicini alla vittima è essenziale.

Il legislatore non sa che lo stalker, passando il suo tempo nell’escogitare metodi sempre più raffinati di controllo e persecuzione, non pensa certo a scappare, perché non tollera la lontananza dalla vittima, ma attende che la situazione muti per potersi manifestare in maniera incombente, reiterando il messaggio ‘ovunque tu vada, sei e resti cosa mia’. Il controllo dunque non avviene solo con la presenza fisica, ma alternando sapienti assenze ad un uso violento dei messaggi via social.

Ricordo un caso di una donna portata sull’orlo del pazzia dal convivente che, obbligato dalla legge a lasciare la casa dopo averla massacrata di botte, parcheggiò la sua auto per oltre un anno in ogni luogo nel quale la vittima si recava. Dunque manifestava la sua presenza ‘padronale’ senza mai alzare un dito e senza mai farsi vedere, continuando notettempo con falsi profili Facebook. Ma lei sapeva che lui era in giro, impunito e libero, motivo per il quale entrò in uno stato depressivo. Avere invece la certezza che, in casi di acclarata persecuzione, il carnefice è in stato di fermo, sottoposto ai vincoli della legge, ha un effetto liberatorio per le vittime che sovente sono vittime del paradosso di un carnefice non riconosciuto tale.

In questi casi, quando la zona opaca tra vittima ed aggressore non è stata rischiarata dalla legge, ella arriva ad interiorizzare la presenza del suo persecutore che si tramuta in ossessione, un incubo che abitale sue notti sempre più farmacologizzate. Un ostaggio condannato a sobbalzare ad ogni angolo quando scorge una auto del colore del suo ex aguzzino, o un uomo che indossa un abito della medesima foggia. Questo stato di paura e sudditanza, spesso incrementata dal fatto che il persecutore ha nel paese o nella città un nome più ‘pesante’ e dunque ritenuto maggiormente credibile, è ciò che mantiene la vittima in uno stato di costante angoscia ed isolamento.

E questo lo stalker ‘raffinato’ lo sa bene e sapientemente usa tutti mezzi che gli sono possibili per estendere all’infinito la sua longa manus affinché la vittima, ovunque essa sia, abbia ben chiaro che lui è nelle vicinanze, dietro l’angolo, all’altro capo della cornetta o dietro un falso profilo Facebook.

Lo stalker non ha paura della legge, questo il legislatore lo deve avere ben chiaro. Non la teme perché, in barba al principio di realtà, la avverte come un inutile ostacolo che si frappone tra lui e il suo illimitato desiderio di possesso. L’attesa del processo, la minacce della prigione, spesso non sono altro che un lungo spazio temporale del quale egli approfitta per consolidare lo stato di assedio verso un anima che ritiene essere sua proprietà. L’estensione dello stato di fermo in casi di accertata persecuzione ridurrebbe il suo raggio di azione, contribuendo ad allentare la gabbia psicologica nella quale la donna si viene a trovare lei malgrado.

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