Massimiliano Allegri, allenatore della Juventus, va ripetendo da settimane che “la squadra sul campo è seconda in classifica e che la penalizzazione è un fatto che non riguarda la squadra”. Né più, né meno di quanto, per anni, prima che venissero gentilmente dimissionati, gli stessi massimi dirigenti bianconeri andavano ribadendo ogni qualvolta gli veniva fatto notare che due scudetti erano stati revocati per illecito sportivo: “sul campo sono 38 e non 36”.

Una sorta di virus, un delirio di onnipotenza, che attacca un po’ tutti quelli che passano per la Juventus. Come se i “fatti” che la magistratura ordinaria e sportiva addebita alla società, condannandola per il mancato rispetto di regole e leggi, non abbiano alcun valore.
Messaggi che un amplificatore sociale potente come il calcio fa diventare ordinari. Messaggi che la maggior parte degli opinion leader e dei media, spesso ipocriti moralisti per circostanze ed eventi più popolari (evadere le tasse, passare con il rosso, cercare raccomandazioni, saltare la fila agli sportelli, non allacciare la cintura di sicurezza in automobile) non si sogna minimamente di stigmatizzare o, quantomeno, far notare come diseducativo.

Nel libro L’animale sociale del 2012, l’editorialista del New York Times, David Brooks, indaga sui rapporti tra inconscio e razionalità, valutando come la cultura della comunità in cui si è cresciuti influenzi le decisioni della nostra vita. Per illustrare il concetto, Brooks racconta di un sondaggio effettuato su alcuni diplomatici. Il sondaggio riguardava il pagamento delle multe per sosta vietata a New York. Dal momento che si trattava di diplomatici, tutti partivano da una situazione di benessere economico.

Quasi tutti, nel corso degli anni, erano stati multati per aver lasciato la macchina in divieto di sosta. I risultati del sondaggio furono sorprendenti. Alcuni avevano pagato le multe, altri no; coloro che non avevano pagato le multe provenivano da paesi in cui la corruzione, la collusione ed, in genere, l’inosservanza delle leggi sono endemiche: Egitto, Pakistan, Nigeria e così via.

Al contrario, i diplomatici provenienti da Svezia, Danimarca, Giappone, Israele, Norvegia e Canada non avevano multe in sospeso. Pertanto, il sondaggio dimostrava che, pur a migliaia di chilometri di distanza dai paesi di provenienza, le persone intervistate subivano ancora l’influenza delle regole di comportamento della loro cultura di origine.

Se è vero che il sondaggio citato da Brooks riguarda l’influenza della cultura nazionale e non della famiglia d’origine, è altrettanto vero che l’una e l’altra sono spesso interrelate ed hanno entrambe un forte peso sull’evoluzione delle persone. Sebbene si trattasse solo di un sondaggio (e non di una serie di esperimenti ripetuti nel tempo), quali conclusioni se ne possono trarre? Che l’ambiente familiare e sociale e la cultura nazionale in cui si passano gli anni più formativi della propria vita plasma le persone in modo quasi definitivo.

Pertanto, il rispetto delle regole e di chi ne condanna l’inosservanza va insegnato e coltivato. Allegri e la vecchia dirigenza juventina (speriamo che il virus non attacchi anche il nuovo management) sono dei cattivi esempi e dei pessimi maestri di educazione civica.

Dite ad Allegri, altrimenti siamo tutti correi, che se ci sono delle regole sociali da rispettare (lo sono in primis le leggi, non i regolamenti aziendali), come quella di pagare le tasse o mettersi la cintura di sicurezza, le segui anche se il resto delle persone non lo fa e anche se nessuno ti guarda. Per la festa scudetto, girerò la città in scooter con il casco a prescindere da “ciò che dirà il campo”.

Così non fan tutti.

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