I grandi sconfitti quest’anno erano davvero grandi. Gente come Steven Spielberg con la sua semi-autobiografia, Cate Blanchett con un’interpretazione che resterà da antologia, e poi due titoli tanto decantati quanto validi come Elvis e Gli Spiriti dell’Isola: tutti a bocca asciutta. E se i sequel blockbuster Avatar (Migliori effetti speciali) e Maverick (Miglior sonoro), già parecchio ridimensionati dalle nomination hanno preso giusto un Oscar tecnico ognuno, sfoggiando per giunta le assenze illustri di Tom Cruise e James Cameron alla serata del Dolby Theatre, Babylon ha mancato pure 2 Oscar (Migliori costumi e Migliore scenografia) che sarebbero stati più meritati di quelli assegnati invece a Wakanda Forever e Niente di nuovo sul fronte occidentale.

A sorriderne soddisfatti la Disney, ma soprattutto Netflix per il secondo titolo, attraverso il quale esce potenziata nel palmares grazie ai trionfanti 4 Oscar. Anche Miglior film straniero, tedesco, chiamato a rappresentare l’Europa al conteggio finale, vista la debacle degli italiani in nomination. Tra i quali Alice Rohrwacher, con un corto, Le pupille, che per struttura narrativa, volume di situazioni e pluralità di emozioni, somigliava più a un film mancato che a un cortometraggio.

Ma la vera grande vittoria è andata ad antieroi veri, film indie, eroine ritrovate e attori rialzatisi da periodi di silenzio. Gli anni 80 ci regalarono il visetto inconfondibile di un ragazzino, Ke Huy Quan, ex-rifugiato vietnamita. Nato a Saigon nel ‘71, giunto in America fuggendo su una barca – come ha rivelato al momento della sua premiazione di stanotte – diventò celebre nel 1984 per aver interpretato il piccolo avventuriero al fianco di Indiana Jones nel Tempio Maledetto e poi il giovane nerd inventore in quel manipolo di Goonies che fece epoca.

Dopo un lungo stop dalle scene, la favola di ieri sera ha voluto che stringesse la statuetta da Miglior attore non protagonista, mentre il suo mentore di allora, Harrison Ford, ha consegnato il premio per il Miglior film proprio ai registi di Quan, The Daniels, per Everything Everywhere All at Once. E lo stesso Spielberg, che lo diresse, è rimasto a sedere con il suo The Fabelmans sotto al braccio.

Nello stesso Everywhere, la villain, in contesti del tutto surreali di cui si è già parlato tanto è Jamie Lee Curtis. Sex-symbol negli anni Ottanta e Novanta, icona horror con Halloween e poi della commedia Una poltrona per due, ha seguito nella sua carriera il cinema di genere, superando persino i genitori star con questo Oscar da Miglior attrice non protagonista. E al suo fianco la Miglior attrice protagonista Michelle Yeoh, che ha vinto per un lavoro attoriale voluminoso, sfaccettato e cangiante, visti i multiversi e le varie versioni che ha dovuto plasmare del suo personaggio. Statuetta meritata sì, ma inutile chiedersi se la grandezza della Blanchett in Tàr ne avesse meno bisogno per i 2 Oscar già vinti in passato, come ha dichiarato recentemente proprio Yeoh.

Un peccato per Marcel the Shell invece. Avrebbe completato la riscossa degli outsider di quest’anno. Piccolo capolavoro di animazione e creatività, trasversale per pubblico e capace di divertire, intenerire, stupire e scavare nel profondo utilizzando giusto una conchiglia in stop motion, cede però il passo al Pinocchio di Guillermo del Toro. Altro motivo d’orgoglio per Netflix perché giudicato dall’Academy Award come Miglior film d’animazione. Ma il grande vincitore di questa edizione 2023 resterà meritatamente Brendan Fraser. Il Miglior attore protagonista scolpito nella memoria del pubblico per la trilogia della Mummia è riemerso dopo lustri, e dalla prima standing ovation della Mostra del Cinema di Venezia non si è più fermato il suo successo.

È stata un’edizione unica e controversa perché hanno vinto personaggi e film sui vinti, interpretati spesso da attori marginali o tornati a nuovi fasti, a spese di veri e propri giganti. Un colpo ben assestato allo star system dei faccioni perfetti dei grandi film. Anche la stessa Lady Gaga, sempre al passo coi tempi, si è presentata struccata e in una versione jeans e t-shirt molto grunge, per la sua performance dal vivo del suo Hold my hand, candidato come Miglior canzone per Maverick.

Ma a prescindere dalle polemiche innescate, a fare vero bottino, inoppugnabilmente, è stata anche l’affermazione di A24, casa di produzione di The whale e Everything: 9 Oscar incassati in una sera. Niente male per la futura major con 11 anni di attività e dal nome ispirato alla Roma-Teramo. Sì, l’autostrada che percorreva il suo fondatore Daniel Katz quando decise di fondare l’azienda. E curioso che Brendan Fraser e Ke Huy Quan, dopo aver lavorato insieme al film di cassetta Il mio amico scongelato, nel 1992, si siano ritrovati ieri sera in cima al mondo con due Oscar in mano.

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