Nel 2014 tuonava contro l’abbassamento dell’età pensionabile. Oggi esprime “perplessità” sull’ipotesi di alzarla. Il soggetto è sempre lo stesso: l’Associazione nazionale magistrati, il sindacato unitario che rappresenta quasi tutti i giudici e i pm italiani. Nella riunione di sabato scorso, il Comitato direttivo centrale – il parlamentino dell’Anm – ha approvato un documento critico sulla proposta arrivata da Alberto Rizzo, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio: portare da 70 a 72 anni l’età del collocamento obbligatorio a riposo delle toghe, allo scopo di far fronte alla carenza di personale. Secondo l’associazione, la proposta “non è concretamente utile per raggiungere lo scopo di colmare i rilevanti vuoti di organico della magistratura”, perché trattenere in servizio i dipendenti più anziani “non risolverà i problemi di scopertura degli uffici giudiziari di primo grado, e soprattutto di quelli più disagiati, dove normalmente prestano servizio solo magistrati di minore anzianità”. I magistrati dicono di non avere “alcuna preconcetta contrarietà” rispetto a una scelta di questo tipo, ma chiedono di adottarla solo “all’esito di una riflessione più ampia (…) senza trascurare di considerare le complessive esigenze del servizio giustizia e la congruenza degli interventi rispetto agli obiettivi programmati”.

Di per sé, nulla di male: è normale che le associazioni di categoria rappresentino gli interessi dei propri iscritti, incluso quello ad andare in pensione il prima possibile. Ma il fatto curioso è che una decina di anni fa l’Anm protestava per il motivo esattamente opposto. Il progetto – poi realizzato – del governo Renzi, che con il Guardasigilli Andrea Orlando voleva abbassare l’età pensionabile da 75 a 70 anni, aveva fatto infuriare i vertici del sindacato, preoccupati dei vuoti d’organico che si sarebbero creati negli uffici: cioè, paradossalmente, proprio di quel problema che ora affermano non abbia niente a che fare con l’età pensionabile. L’allora presidente, Rodolfo Sabelli, chiedeva di “evitare la scopertura immediata e contemporanea di centinaia di incarichi direttivi e semidirettivi” e di “ricoprire sollecitamente con nuovi concorsi le scoperture che verrebbero a crearsi”. Il Csm, avvertiva Sabelli, “dovrà gestire una vera e propria emergenza, visto che in un tempo molto breve dovrà ricoprire centinaia di posti. “La nostra non è una battaglia corporativa, non difendiamo i diritti degli ultrasettantenni. Ma chiediamo che una riforma di questo tipo venga fatta con ragionevole gradualità”, diceva. Ora il punto di vista si è ribaltato.

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