Ci sono tante cose che rimpiango nella mia vita. Alcune sono sicuramente legate all’occhio distorto che hai da vecchio, dimodoché ti sembra tutto bello quello che vivesti in gioventù. Ma altre credo che tutti noi che abbiamo una certa età dovremmo rimpiangerle. In particolare adesso mi riferisco ai film che circolavano in Rai quando essa era unica emittente e a come questi film circolavano.

Spesso infatti i film non erano dati in pasto come una merce per soddisfare gli appetiti dei telespettatori, ma erano accompagnati da una critica degli stessi da parte di giornalisti addentro alla materia. Critici come Gian Luigi Rondi oppure Callisto Cosulich, per intenderci. Il film insomma era trattato come un’opera culturale e la Rai te lo porgeva come tale, svolgendo un’operazione di pubblico interesse. Anche qui, essa era un servizio effettivamente pubblico.

In questa direzione si muovevano a maggior ragione le rassegne, ad esempio quella sul nuovo cinema americano: per ogni film, una spiegazione della sua importanza o peculiarità, l’opera del regista in cui esso si inquadrava e quant’altro. Insomma, a vedere i film in tv ti facevi una cultura. In fondo, non è la settima arte?

Nei decenni successivi tutto quel patrimonio culturale si è disperso, ancor più da quando sono comparse le televisioni commerciali e la Rai ha iniziato a scimmiottarle. In linea con quel passato è rimasto solo Enrico Ghezzi, segregato in piena notte, quasi fosse un lebbroso. Il film oggi, che sia trasmesso da pubblico o privato, è ridotto a pura merce data in pasto, puro divertimento. Ma fosse solo questo l’aspetto negativo. Anche la qualità di quello che viene dato in pasto è indigeribile e ripetitiva. Se trasmettessero Kubrick o Scorsese o Kaurismaki, insomma, sarebbe una cosa. Ben diverso vedere scorrere sullo schermo pellicole che definire B movie forse è fargli grazia.

Ma non finisce qui, perché i film sono costantemente statunitensi, o italiani, al massimo francesi. Comunque di matrice occidentale. Che alla Rai e a Mediaset non si siano accorti che i film di maggiore spessore ormai da ben più di un decennio hanno protagonisti con gli occhi a mandorla? Gli danno fastidio? Scherzo, ovviamente. Ma è del tutto incomprensibile come ci sia un ostracismo di fatto verso la superlativa filmografia coreana, o giapponese, o anche cinese. Nulla, zero, non passa nulla. Oppure, volete davvero proiettare un film d’azione? Perché sempre e solo statunitense, quando i migliori d’azione sono prodotti a Hong Kong? Eppure i film orientali sono spesso premiati nelle rassegne cinematografiche: Parasite fece incetta di statuette. Registi come appunto Bong Joon-ho oppure Irokazu Kore’eda o Park Chan-wook sono personalità di livello internazionale.

I film costano? Però i soldi per le solite fiction con i soliti prevedibili commissari e ispettori e preti e suore si trovano sempre. Poi c’è chi dirà che esiste anche il cinema turco e iraniano. Certo, ho voluto solo fare un esempio di una delle cinematografie eccelse. Esistono anche Iran, Turchia, Argentina, Brasile e, in Europa, Danimarca, Finlandia, Islanda. Va bene tutto, dio mio, purché non ci facciano più sorbire Clint Eastwood o Steven Seagal. O, pur con tutto il grande rispetto che sicuramente merita, Sergio Leone.

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