“Un settore dinamico, impegnato a restare al passo con i cambiamenti della domanda e sempre più centrale per la tenuta complessiva dei sistemi turistici“. Con “diversi fattori che sembrano determinare plurimi modelli di business di cui si dovrebbe tener conto nei processi di apertura al mercato per evitare che il percorso di potenziamento dell’offerta turistica del Paese subisca pericolosi contraccolpi“. È la descrizione del comparto balneare messa nero su bianco in una “survey condotta da Nomisma nella primavera del 2022″. I committenti? Sindacato italiano balneari e FIPE Confcommercio, notoriamente pronti alle barricate contro la messa a gara delle concessioni chiesta da anni da Bruxelles e mai realizzata dall’Italia, che è per questo dal 2020 sotto procedura di infrazione europea e rischia il deferimento alla Corte di Giustizia Ue.

Il 22 febbraio, mentre il Senato votava la fiducia al decreto Milleproroghe in cui il centrodestra ha inserito nonostante i dubbi del Colle l’ennesimo prolungamento delle concessioni peraltro inapplicabile in base a una sentenza del Consiglio di Stato, quell’indagine evidentemente di parte è stata presentata durante un convegno ad hoc proprio a Palazzo Madama, in sala Zuccari. Presenti il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto, i vicepresidenti del Senato Maurizio Gasparri e Gian Marco Centinaio. Maggioranza al completo, dunque, senza alcuna apparente remora riguardo all’opportunità di fare da sponda a rivendicazioni che mettono Roma in rotta di collisione con la Commissione. Anzi: Gasparri ha tenuto a ribadire che gli stabilimenti sono “imprese fragili da tutelare, non speculatori da bastonare”, ad attaccare il Consiglio di Stato la cui sentenza sarebbe “basata su presupposti errati” e ad invitare i balneari a “contrastare le menzogne che vengono instillate giorno dopo giorno sul vostro settore”. Adottando “una comunicazione semplice che vi renda simpatici, perché al momento risultate più antipatici dei politici e ce ne vuole”.

Ma quali sarebbero le “menzogne” da smentire? A fronte di un report – quello di Nomisma finanziato dai concessionari – stando al quale il settore “non vive di rendite di posizione” per il solo fatto che “almeno un’impresa su 3 ha introdotto nuovi servizi a partire dal 2000“, giova ricordare qualche dato ufficiale. A partire dalle conclusioni dell’ultima indagine della Corte dei conti (dicembre 2021) sulla “gestione delle entrate derivanti dai beni demaniali marittimi”, che ha censurato la scarsa redditività del demanio marittimo e la frammentarietà delle norme e delle competenze sulla materia. Dalle 12.166 concessioni balneari ad uso turistico censite dal Sistema informativo del demanio marittimo, spiegano i magistrati contabili, lo Stato ha incassato tra 2016 e 2020 una media di 101,7 milioni, sotto le previsioni: 8mila euro medi all’anno a fronte di un fatturato medio, secondo Nomisma, di 260mila. Mentre il Consiglio di Stato ipotizza un giro d’affari di 15 miliardi di euro l’anno. Stando alla Relazione tecnica del decreto Agosto del 2020, che allargava lo sguardo anche alle concessioni marittime per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto, per la cantieristica navale, per pesca e acquacoltura e di tipo produttivo, su un totale di 29.689 licenze ben 21.581 erano soggette a un canone inferiore a 2500 euro. Cifra che di lì in poi è diventata il minimo richiesto, fino all’aggiornamento che dal 2023la fa salire a 3.377 euro.

Prima di questi aggiornamenti, per fare qualche esempio, nel Comune sardo di Arzachena c’erano 41 stabilimenti balneari con canone annuo inferiore a 1.000 euro, così come 22 stabilimenti di Portoferraio (Elba) e 52 di Ischia. Nel 2019 Flavio Briatore rivelò che il Twiga, allora suo e della Santanchè (chedopo la nomina a ministra ha ceduto le sue quote al compagno) pagava solo 17mila euro l’anno anche visti i profitti “dovrei versare almeno 100mila euro”.

Articolo Precedente

Sardegna, i dirigenti regionali indagati con Solinas erano massoni: il Gran Maestro Bisi li sospende a tempo indeterminato dal Goi

next
Articolo Successivo

Incentivi fiscali, una giungla di 622 detrazioni ed esenzioni da 81 miliardi l’anno. “Benefici circoscritti a pochi individui e settori, ma pagano tutti”

next