L’immane catastrofe che ha colpito Turchia meridionale e Siria settentrionale ha fatto una strage con decine di migliaia di vittime, fra popolazioni già da anni colpite dalla guerra. In Turchia il terremoto ha scoperchiato la fragilità di uno Stato che da tempo tenta di nascondere le sue enormi carenze dal punto di vista sociale e la sua arretratezza collo sfoggio di grandeur diplomatica e militare, colla continua proiezione di potenza proprio verso le zone maggiormente colpite dal disastroso sisma, in buona parte abitate da curdi, sia che si tratti di territorio turco che di territorio siriano.

Sono state colpite le zone della Siria settentrionale da anni luogo di conflitto armato tra vari attori. Zone colpite da attacchi di bande fondamentaliste e da aggressioni belliche condotte dallo Stato turco, che proprio di recente si adoperava per ottenere il disco verde delle Potenze ai propri piani di annientamento dell’autogoverno democratico e multietnico della Rojava. Decine di migliaia di case, costruite senza tenere conto di elementari requisiti di sicurezza ma solo in base alle esigenze della speculazione edilizia realizzata da imprenditori vicini al regime mafioso-neoilberista di Erdogan, sono crollate come fuscelli. Le immani sofferenze di milioni di persone, crepate nel più totale abbandono da parte delle istituzioni turche, sotto le macerie, a volte asportate con dentro ancora persone vive, come denunciato da alcuni soccorritori spagnoli, di freddo e di inedia, sono il prezzo pagato a un sistema disumano che è riuscito a realizzare un micidiale cocktail ideologico tra islamismo, neoliberismo, oppressione dei popoli e degli individui.

Questo sistema disumano si regge grazie alle complicità esistenti a livello internazionale, prima fra tutte l’Europa che continua a sperperare risorse per l’insensato massacro ucraino, e continua al tempo stesso a sostenere i regimi autoritari della regione medio-orientale, con esportazioni di armi, sostegno al governo israeliano dell’apartheid e dello sterminio sistematico dei Palestinesi e, per l’appunto alla Turchia di Erdogan, gettando fra l’altro le basi di future guerre che potrebbero essere ancora più devastanti di quella in corso colla Russia.

Di fronte a una tragedia di questa portata dovrebbero tacere le armi, non solo nella regione colpita, ma su più vasta scala e gli sforzi della comunità internazionale dovrebbero convergere nella solidarietà incondizionata verso le vittime. Mentre la gente muore di freddo e di inedia sotto le macerie di questo terremoto, trenta volte più forte di quello che colpì l’Irpinia nel 1980, il più grave tra tutti quelli che hanno afflitto il nostro Paese negli ultimi cinquant’anni, occorre chiedersi che senso ha continuare a sperperare denaro in armamenti per la guerra.

Se lo deve chiedere Erdogan, che pure ha tentato di svolgere un ruolo positivo nel conflitto ucraino, ma si è ben guardato dal cercare una soluzione pacifica a quelli che lo riguardano più da vicino, che anzi ha alimentato sferrando attacchi senza soluzione di continuità nei confronti delle zone della Siria e dell’Iraq abitate da curdi.

Se lo devono chiedere i governi della Nato e dell’Unione europea che continuano a riversare soldi e armamenti nell’insensato massacro ucraino, mentre chiudono occhi ed orecchie di fronte a questa tragedia, agli attacchi della Turchia e al lento genocidio del popolo palestinese. Se lo deve chiedere Putin che quasi un anno fa iniziò l’operazione speciale che si doveva subito trasformare in una guerra sanguinosa.

Il terremoto inoltre dovrebbe indurre le potenze occidentali a sospendere immediatamente le misure unilaterali coercitive adottate nei confronti della Siria che, sebbene direttamente in teoria contro il governo di Assad, colpiscono in realtà popolazioni provate a lungo dalla guerra e ora dalla catastrofe che si è abbattuta su di loro.

Occorre però anche chiedersi se il sisma determinerà o meno un’ulteriore crisi del consenso di cui gode il regime di Erdogan, già fortemente minato dalla crisi economica che imperversa ormai da vari anni. In altre occasioni, come in Nicaragua negli anni Settanta, terremoti catastrofici precedettero rivolte sociali e profonde trasformazioni politiche. Occorre augurarsi che questo accada anche nelle regioni oggi colpite dal terremoto, le cui popolazioni vanno sostenute e aiutate ad affrontare la tremenda emergenza in corso, ma anche a recuperare in modo definitivo il proprio protagonismo politico e sociale, che già ha realizzato, nella Rojava di Kobane assediata ed altrove, esempi significativi da seguire nell’area medio-orientale e anche al di là di essa.

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