Si è chiusa con due rinvii a giudizio l’indagine giudiziaria sui tamponi rapidi per la diagnosi del Covid, fortissimamente voluti dalla Regione Veneto nel 2020, ma osteggiati dal professore Andrea Crisanti. Il giudice per l’udienza preliminare, Maria Luisa Materia, ha deciso che sarà il Tribunale di Padova a decidere se vi siano state responsabilità penali nel comportamento di Roberto Rigoli, ex primario dell’ospedale di Treviso, e Patrizia Simionato, all’epoca direttore generale di Azienda Zero, il braccio operativo della giunta regionale nel settore sanitario. Entrambi saranno giudicati per falsità ideologica in atti pubblici commessa da pubblico ufficiale e per turbativa nel procedimento di scelta del contraente, in relazione agli ordinativi di tamponi rapidi. Per il solo Rigoli c’è anche l’ipotesi di depistaggio, per aver cercato di allontanare i sospetti di non aver effettuato le verifiche preventive dichiarate, coinvolgendo un medico del pronto soccorso dell’ospedale di Treviso (che poi ha ritrattato ed è uscito dall’inchiesta). La prima udienza del processo si svolgerà il 22 febbraio 2024.

L’inchiesta è scaturita dalla denuncia presentata da Crisanti che ha sempre espresso dubbi sull’attendibilità dei test rapidi, al posto dei molecolari. Questi ultimi sono totalmente affidabili nell’accertamento della positività dei pazienti, mentre i test rapidi hanno una attendibilità pari circa al 70 per cento. Nel 2020, quando Crisanti era caduto in disgrazia rispetto alla gestione della sanità voluta dal governatore Luca Zaia, era stato proprio Rigoli a sostituirlo nel coordinamento dei 14 laboratori di Microbiologia del Veneto. Tra l’estate e l’autunno 2020 la Regione aveva acquistato una importante partita di test rapidi dalla multinazionale Abbott e di quel metodo diagnostico si era poi vantata nei mesi successivi, a dimostrazione della capacità di individuare un grande numero di positivi, a differenza di altre regioni italiane. Crisanti, invece, sosteneva che le maglie dei test non rilevassero il 30 per cento dei contagiati, con l’effetto che questi continuavano a condurre la loro vita normalmente, senza restrizioni e si così trasformavano in diffusori del morbo.

Il sostituto procuratore Benedetto Roberti ha contestato a Rigoli di aver confermato l’idoneità tecnico-scientifica del prodotto Abbott, dando il via libera agli acquisti, dopo aver dichiarato di aver effettuato un’indagine clinica. Una mail datata 28 agosto 2020 e inviata ad Azienda Zero aveva indotto il direttore generale Simionato a dar corso alle ordinazioni dei primi lotti, per oltre due milioni di euro. In realtà il Veneto si mise a capo di una cordata di altre sette regioni italiane che effettuarono ordinazioni per importi rilevantissimi. Secondo quanto ricostruito dall’inchiesta, anche sulla base di intercettazioni telefoniche, Rigoli avrebbe effettuato solo un test, troppo poco per affermare di aver svolto una verifica approfondita. Rigoli ha replicato di aver effettuato tutte le procedure richieste.

La relazione critica di Crisanti era stata consegnata al dottor Luciano Fior, direttore generale della Sanità del Veneto, il 21 ottobre 2020, quando gli ordini erano già stati fatti. Per questo Crisanti ha commentato: “Se fosse stata presa sul serio la mia ricerca, peraltro pubblicata su Nature, sarebbero saltati enormi interessi economici, visto che Azienda Zero ha speso oltre 200 milioni di euro nei tamponi antigenici. Nonostante lo stesso foglietto illustrativo della Abbott, la casa produttrice, confermasse le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unione Europea, che li sconsigliavano per gli screening. E invece nel Veneto venivano usati per testare i sanitari, gli ospiti e il personale delle Rsa”.

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