Spruzzare un deodorante al figlio piccolo per farlo stare male e ottenere così attenzione dagli altri. Il caso della madre arrestata per avere procurato danni al suo bambino ci porta a conoscere una patologia psichica, la “sindrome di Munchausen per procura”, “una malattia psichiatrica abbastanza rara, ma che non va sottovalutata, in cui viene procurato un danno alla persona da accudire, un figlio o un disabile, perché in questo modo, indirettamente, si attira l’attenzione su se stessi”, spiega Emi Bondi, Presidente SIP – Società ‘italiana di Psichiatria – e direttore del Dipartimento di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. “Nella maggioranza dei casi”, continua Bondi, “si tratta di mamme biologiche che agiscono su bambini piccoli sia facendo ai medici continue richieste di esami clinici per il figlio, raccontando di sintomi o fatti che non si rivelano veri nell’anamnesi, sia – nei casi più gravi – alterando gli esami dando un lassativo al piccolo o aggiungendo zucchero nelle urine perché sia poi visitato. Fino a procurargli lesioni per simulare una malattia che porti il bimbo a essere ricoverato e la madre a dimostrare di essere una persona amorevole che sa stare accanto a suo figlio”.

Quali sono i sintomi e quanto è difficile riconoscerla, soprattutto per chi sta accanto a chi ne soffre?
“È un argomento molto delicato. Ci si chiede come mai passano a volte molti mesi prima di rendersi conto che è la mamma a causare problemi al bambino. Bisogna sottolineare che la maternità è sempre un momento delicato per le donne, che avrebbero bisogno di particolare aiuto e vicinanza, e che molti dei disturbi mentali che possono insorgere in quel periodo sono legati al sovraccarico emotivo e fisico. In casi come questi, a volte esiste una disattenzione da parte del partner della madre che non si accorge di una serie di segnali critici. Ci sono per esempio alcuni elementi di personalità della mamma che dovrebbero fare insospettire. Come il parlare molto di malattie, di problematiche organiche e mediche, e la tendenza a cercare continuamente l’attenzione su di sé. Detto questo, il partner dovrebbe essere più presente nei momenti di cura del bambino per potersi accorgere di atteggiamenti e azioni anomale della madre. Se poi lui si accorge che il bimbo sta meglio e non ha problemi quando la mamma si allontana, è una spia che qualcosa non torna nel modo di presentare i problemi di salute del figlio da parte di lei”.

Che cosa spinge una madre a provocare sofferenza al suo bambino come nel caso che stiamo affrontando?
“Purtroppo, siamo di fronte a una malattia psichiatrica che riguarda un disturbo di personalità in persone che vogliono avere continue attenzioni su di sé, mentre sono incapaci di averle per gli altri. Alcune ricerche hanno rivelato in queste persone storie di casi di abusi emotivi o molestie subiti. Oppure il processo di sviluppo della personalità è stato ostacolato da un rapporto disfunzionale con i genitori, dalla fase di attaccamento avvenuto non correttamente. Essere madre significa sapere accogliere un’altra persona e prendersi cura di lei; se invece abbiamo bisogno noi di ricevere sempre cura e attenzioni dagli altri, facciamo fatica a sostenere quel ruolo genitoriale generando di fatto un paradosso”.

Quale?
“La persona tende a rinforzare il suo ruolo di madre esprimendo molta disponibilità e collaborazione verso i medici per enfatizzare il proprio ruolo accudente e amorevole, da questo la madre ottiene una sua gratificazione”.

Se una persona si accorge di avere accanto una persona affetta da questa sindrome, quali passi deve fare per poterla gestire?
“Il consiglio è di rivolgersi a uno specialista, medico di famiglia, psichiatra o pediatra, per spiegare quello che sta succedendo e approfondire la situazione. Nel momento in cui si ha la certezza di quello che sta accadendo, va manifestata alla persona che soffre del disturbo. Bisogna metterla di fronte a un dato oggettivo: se per esempio la persona falsifica un dato o fa male al bambino, lo si fa notare per aiutarla ad ammetterlo, acquisire una sufficiente consapevolezza e avviare così un percorso terapeutico”.

Si può curare e con quali percentuali di successo?
“Nel nostro caso, abbiamo una madre che ha bisogno di cure e supporto che l’aiutino a riprendere il suo ruolo. Si ricorre quindi alla psicoterapia abbinata a un trattamento farmacologico. I tempi purtroppo sono lunghi e l’esito non è certo”.

C’è infine il caso più delicato e in qualche modo drammatico. Nel caso in cui venga a mancare la figura della madre o del genitore di riferimento, un bambino piccolo, anche neonato, a chi deve essere affidato?
“A una persona della famiglia, al padre o a una figura familiare come i nonni. I bambini hanno una grande capacità di recupero se ricevono affetto e vicinanza. Il rapporto con la madre va mantenuto, se possibile, e mediato dalla presenza di una persona che abbia un rapporto significativo con la famiglia e il bambino. Se un bambino sperimenta braccia amorevoli e attenzioni, ciò diventa il suo riferimento affettivo. D’altronde è quello che succede purtroppo a chi per esempio perde la mamma o nei casi di adozione. In tutto questo un ruolo importante lo svolgono anche i servizi sociali che si attivano per tutelare, innanzitutto, il bambino e aiutare la famiglia a orientarsi in modo funzionale per accudirlo in modo soddisfacente”.

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