Nelle ultime settimane la iurta ha assunto un nuovo ruolo, oltre a quello tradizionale di abitazione mobile dei popoli nomadi asiatici. In Ucraina, infatti, sono ormai arrivate a quattro le cosiddette “Iurte dell’Invincibilità”, strutture umanitarie installate a Bucha, Kiev, Kharkiv e Leopoli, pensate per offrire rifugio ai cittadini ucraini in difficoltà a causa dell’invasione russa. Chiunque può accedervi per riscaldarsi, ottenere cibo o medicinali o semplicemente ricaricare il proprio smartphone. Dietro all’iniziativa c’è un gruppo di attivisti kazachi, Nation’s Future, in grado, grazie a una raccolta fondi lanciata subito dopo l’avvio dell’operazione militare del Cremlino e che ha visto ricevere il contributo di 20mila persone capaci di mettere insieme 1,5 milioni di euro. Prevedibilmente, però, la mossa non è stata accolta con grande entusiasmo in Russia.

Nonostante l’assenza di un ruolo ufficiale nell’iniziativa da parte del governo del Kazakistan, la bandiera del Paese svetta in bella vista a fianco a quella ucraina al di fuori delle iurte, dando al tutto un chiaro significato politico. Dopo l’installazione della prima tenda a metà gennaio, la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ha rilasciato una dichiarazione ufficiale chiedendo una spiegazione da Astana circa la posizione delle autorità kazache e sottolineando i possibili contraccolpi sulla relazione strategica bilaterale. La risposta del Kazakistan non si è fatta attendere, ma è stata tutt’altro che conciliante: di fronte alle telecamere di Radio Free Europe/Radio Liberty il portavoce della diplomazia kazaca ha fatto spallucce, ribadendo la natura privata dell’iniziativa e l’assenza di qualsivoglia obbligo di dare delucidazioni a Mosca in merito ad essa.

Il fatto che la vicenda abbia fin da subito assunto un carattere così evidentemente politico, fa capire quanto l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia abbia rappresentato uno spartiacque nei rapporti tra la Federazione e i suoi (ex) alleati di ferro nello spazio post-sovietico. Gli ultimi mesi, infatti, sono stati caratterizzati da più o meno timidi passi di allontanamento del Kazakistan, gigante economico centro asiatico, dal Cremlino. Non sono mancate battute d’arresto ed è chiara la volontà del leader kazaco Tokayev di non arrivare a un vero e proprio strappo nella relazione, ma la dinamica sembra ormai difficilmente invertibile.

Un esempio recente della schizofrenia che sta interessando i rapporti bilaterali arriva dalla sfera energetica. Si tratta di un tema molto sensibile sia perché l’esportazione di idrocarburi rappresenta una delle voci maggiori del bilancio russo e di quello kazaco, sia perché quello in corso è uno degli inverni più rigidi degli ultimi decenni e ha causato non pochi problemi in Asia Centrale. Il rifiuto fatto pervenire alla Russia da parte di Kazakistan e Uzbekistan a metà dicembre a fronte della proposta di Mosca di creare un’unione commerciale sul fronte del gas naturale – a causa di evidenti preoccupazioni di carattere politico da parte kazaca e uzbeca – è stato seguito a fine gennaio dalla stipula di un’intesa trilaterale con Gazprom dai contorni non particolarmente definiti.

Rimanendo in tema di energia, i tentativi di diversificazione delle rotte di esportazione del proprio petrolio da parte del Kazakistan vanno in parallelo ai passi compiuti a braccetto con la Russia. Attualmente, circa l’80% delle esportazioni kazache di petrolio si incanala, tramite una condotta, verso il terminal portuale russo di Novorossiysk. Una dipendenza che nei mesi immediatamente successivi all’inizio dell’invasione russa ha consentito al Cremlino, attraverso la temporanea e pretestuosa chiusura dell’oleodotto, di far capire ad Astana di non aver accolto positivamente la sbandierata neutralità del Kazakistan. Pochi giorni fa, però, il petrolio kazaco ha iniziato a fluire, in quantità al momento limitata, verso la Germania per il tramite dell’oleodotto Druzhba, controllato da Mosca e che storicamente ha portato il petrolio russo verso il mercato europeo.

Alla base di questa altalena, la paura kazaca di poter essere in futuro messi nel mirino delle mire espansionistiche della Federazione. D’altronde la parte settentrionale del Kazakistan, che confina con la Russia, è un’area da sempre a maggioranza russofona, al punto che, nella capitale regionale, Petropavl, il 60% della popolazione è di etnia russa. Una realtà demografica che negli scorsi mesi ha spinto le autorità di Astana, alla ricerca di un bilanciamento etnico, a costringere molti dei cittadini kazachi che hanno deciso di tornare a vivere in Kazakistan a insediarsi non nelle loro zone di origine ma nelle regioni a nord dell’immenso territorio nazionale. Guardando al futuro, la situazione sembra destinata a continuare a caratterizzarsi per fughe in avanti da parte del governo kazaco, come nella vicenda delle iurte, seguite però da arretramenti più o meno marcati guidati evidentemente da una consapevolezza: la Russia non è più un partner affidabile dal punto di vista politico, ma resta una controparte imprescindibile su alcuni fronti: economico, dell’energia e militare su tutti.

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