Cospito e il 41bis, il magistrato Sabella: “La situazione andava monitorata subito, fatti degli errori. L’asse tra anarchici e mafia? Storie che si ripetono”

“La situazione di Alfredo Cospito andava monitorata prima, quando ha cominciato lo sciopero della fame”. Ne è convinto Alfonso Sabella, il “cacciatore di mafiosi”, come la serie tv ispirata ai suoi anni alla procura di Palermo. Erano gli anni in cui venivano arrestati, uno dopo l’altro i grandi boss delle stragi. “All’epoca Cosa nostra era ancora fortissima e i detenuti al 41bis erano 400, 450. Ora sono quasi 800: forse dobbiamo farci qualche domanda”, dice Sabella, che nel 1999 è andato a lavorare con Gian Carlo Caselli al Dipartimento amministrazione penitenziaria, come dirigente dell’Ufficio Ispettivo. Oggi il magistrato spiega che sul caso dell’anarchico al carcere duro sono stati compiuti alcuni errori che hanno trasformato la vicenda in un “boomerang”.

Dottore Sabella, è mai successo che il ministero non applicasse il 41bis a un detenuto dopo esplicita richiesta di una procura?
A me non è mai accaduto, bisognerebbe fare un’istruttoria ma credo che qualche volta sia effettivamente successo. Se non erro a qualche camorrista, ma sono casi rari. Formalmente, però, per il 41bis non è prevista neanche la richiesta della magistratura, è un atto proprio del ministro. Poi è chiaro che se la procura chiede di applicare il 41bis a Messina Denaro, il ministro non dice certo di no.

È stato un errore imporre il regime speciale a Cospito?
Non posso entrare nel merito, c’è la Cassazione che deve decidere. Però va fatta chiarezza: il 41bis è un provvedimento amministrativo e non giurisdizionale. Fatte le dovute proporzioni è come le ordinanze di demolizione delle case abusive: uno può fare sempre ricorso al giudice.

Il 41bis a Cospito è stato imposto perché, come spiegava l’allora guardasigilli Marta Cartabia, inviava dal carcere messaggi ai compagni anarchici invitandoli a continuare la lotta violenta. Oltre al 41bis, non c’erano altri strumenti per evitare che questo avvenisse?
Non so come Cospito inviasse questi messaggi. Se li inviava via posta, esistono altri strumenti diversi dal 41bis come il visto di censura. Che però ha un problema: il visto di censura al detenuto comune non evita che lo stesso detenuto invii i suoi messaggi all’esterno facendoli spedire ai compagni di cella.

È per questo che la procura generale di Torino e quella nazionale Antimafia avevano chiesto il 41bis per l’anarchico?
Non lo so, non conosco nel dettaglio la vicenda e non posso entrarci. Posso dire che la procura può chiedere il 41bis ma, in teoria, il ministero può pure non rispondere. Sempre in teoria il ministero della Giustizia deve rispondere solo a una richiesta del Viminale. Molti dicono: aspettiamo la magistratura, ma è il ministero che applica il 41 bis. Oggi come oggi se Nordio volesse potrebbe revocarlo pure subito.

Però ora diventa difficile toglierlo: rischia di passare come un cedimento dello Stato al ricatto della violenza degli anarchici.
Certamente. E paradossalmente chi sta manifestando in maniera violenta per Cospito non sta certo facendo un favore a Cospito. Facendo dietrologia si potrebbe dire: chi voleva far rimanere Cospito al 41bis, sta organizzando tutto questo.

Però alcuni errori sono stati compiuti nella gestione di questa vicenda, non crede?
Sì, sono stati fatti degli errori. Si doveva intervenire in maniera adeguata quando Cospito comincia lo sciopero della fame. I terroristi al 41bis sono 4 e hanno una capacità di mobilitazione e di creazione del consenso molto diversa dai mafiosi e molto elevata: ecco perché si poteva e si doveva monitorare prima.

In che modo si poteva intervenire subito?
Il trasferimento di Cospito a Opera fatto l’altro giorno andava fatto due mesi fa. Purtroppo la sanità penitenziaria è passata alle regioni, che già hanno le loro difficoltà ad assicurare le cure ai cittadini liberi. E quindi la sanità penitenziaria funziona bene dove funziona bene quella regionale.

Bisognava togliergli il 41bis?
Non posso dirlo, perché non conosco i fatti. Però si poteva gestire diversamente la situazione, trasferendolo in una struttura adeguata e spiegando perché si era deciso di tenerlo al 41bis.

Così, però, il suo caso è diventato un boomerang.
Sì, è diventato un boomerang. Io non voglio difendere il 41bis a Cospito, non posso entrare nel merito. Però mi faccia dire una cosa…

Dica,
Subito dopo le stragi, quando Cosa nostra era ancora i detenuti al 41bis erano 400, 450. Ora sono quasi 800: forse dobbiamo farci qualche domanda sull’uso che si è fatto di questo strumento.

È stupito dall’asse che si è creato tra Cospito e alcuni mafiosi in carcere?
Noi abbiamo due questioni irrisolte del 41bis. La prima è: che fine fanno le videoregistrazioni dei colloqui dei detenuti coi loro familiari. Chi li archivia, chi li custodisce? Non si sa, non è una questione regolamentata. E quelli non sono dati di proprietà dell’autorità giudiziaria.

E la seconda?
I gruppi di socialità. E meglio mettere insieme persone della stessa cosca o di cosche diverse? Nel primo caso rendi possibile che i detenuti determinino le strategie della loro organizzazione di appartenenza. Nel secondo fai in modo che avvenga un trasferimento d’informazioni tra organizzazioni mafiose diverse. Si è scelta questa seconda strada. E quindi con chi poteva fare la socialità Cospito? Al 41bis ci sono al 99% mafiosi: lui per forza coi mafiosi doveva finire.

Però è avvenuta una saldatura d’interessi: i mafiosi sembrano approfittare della sua protesta contro il 41bis. Il deputato Donzelli di Fdi ha definito l’anarchico come un “influencer delle mafie contro il 41bis”. È d’accordo?
Ma quale è la novità? Sono storie che si ripetono. Io ho avuto la vita rovinata, perché sono stato “posato” dai miei colleghi quando mi sono messo di traverso sulla dissociazione.

La dissociazione era quella dei terroristi: abiuravano la lotta armata. Era quello che cercarono di fare i mafiosi: deponevano le armi, non si pentivano, ma avevano sconti di pena.
Esatto, ed erano tutti d’accordo: il procuratore nazionale Antimafia, alcuni al ministero, tutti della stessa opinione.

Mafia e terrorismo è un binomio antico, dunque?
Le bombe del ’93 che cosa erano? Avevano una evidente matrice terroristica, anche se non mi pare gli abbiano contestato l’eversione a processo.

No ai mafiosi no, ma a Cospito sì.
Ripeto: non posso entrare nel processo a Cospito.

Ma così si è creato un cavallo di troia delle mafie contro il 41bis, non crede?
Oggi come oggi il 41bis non si toccherà, il problema è che noi viviamo in una fase molto delicata.

Cioè?
Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro è convinzione generale che la mafia è definitivamente sconfitta: si tratta ovviamente di una balla, che però molti la rilanciano. Poi: l’ergastolo ostativo è minato dalle sentenze della Consulta e di Strasburgo, con la nuova legge che sicuramente tornerà davanti alla corte Costituzionale e vedremo cosa succederà. Infine c’è il dibattito politico che è orientato a limitare le intercettazioni per una serie di reati-spia. Paradossalmente senza l’attenzione per l’arresto di Messina Denaro, senza le manifestazioni violente a favore di Cospito, non so che piega avremmo preso.

Che piega si poteva prendere?
Si poteva arrivare a un indebolimento serio del 41bis. A questo aggiungiamo l’abuso che abbiamo fatto dello strumento.

Che abuso abbiamo fatto?
Faccio due nomi su tutti: Bernardo Provenzano e Raffaele Cutolo. Provenzano lo abbiamo fatto morire da vegetale al 41bis. Che ordini poteva dare Provenzano, conciato in quel modo, nel suo ultimo anno di vita? Quella è stata crudeltà, punto.

E Cutolo?
Dalla metà degli anni ’90 non si sente più parlare di Nuovo camorra organizzata. Vuoi tenerlo al 41bis fino al ’97? Fino al ’98? Al 2000? Ma gli altri vent’anni sono gratuiti: Cutolo non poteva più dare ordini a nessuno da molto tempo.

Come se ne esce da questa situazione?
Con un progetto di politica penitenziaria che in questo Paese manca dai tempi di Niccolò Amato.

Che intende?
Serve una giustizia forte coi forti e giusta coi deboli. Il problema è che non si fa mai una considerazione individuale dei detenuti: li consideriamo a fasce, per appartenenza criminale. Mai a livello individuale. Una grande riforma penitenziaria è questa, ma nessuno la farà mai.

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