Il protagonismo interventista del giudice della Corte suprema del Brasile, Alexandre de Moraes, inizia a generare dubbi giuridici ed etici anche fuori da quegli ambienti bolsonaristi che da anni lo hanno scelto come nemico giurato. Da tempo impegnato in una campagna quasi personale contro i sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro accusati di disseminare fake news e organizzare atti anti-democratici, dopo il tentativo di golpe dello scorso 8 gennaio, l’azione dell’avvocato ex ministro della Giustizia del governo di Michel Temer e da lui nominato alla Corte suprema, è diventata ancora più invasiva.

Competente per perseguire e giudicare alte cariche dello Stato e parlamentari con giurisdizione privilegiata, Moraes ha usato le ampie prerogative di ‘polizia’ previste nella Costituzione del 1988 per la Corte suprema brasiliana, per indagare, perseguire e arrestare migliaia di comuni cittadini, oltre che congelare conti correnti di imprenditori presunti finanziatori di gruppi sovversivi e sospendere profili delle reti sociali di persone accusate di minacciare democrazia e incolumità di giudici e politici. Alexandre de Moraes ha anche ordinato la sospensione del governatore del Distretto federale, Ibaneis Rocha, l’arresto dell’ex ministro della giustizia, Anderson Torres e incluso l’ex capo dello stato Bolsonaro nelle indagini sulle depredazioni dello scorso 8 gennaio.

Tutte le decisioni monocratiche, sue e degli altri giudici supremi, devono essere vidimate successivamente dalla Corte riunita in seduta plenaria, ma in questo contesto trasparenza, diritto alla difesa e potere di ricorso risultano limitati. Per quanto la sua attività sia opportuna, ragionevole o utile alla difesa della democrazia non dissipa i dubbi in merito alla tutela dei diritti civili e umani, altrettanto necessari nel giudicare la qualità di una democrazia.

Una complessa e molto controversa vicenda che rischia di condizionare soprattutto a lungo termine. Il giornalista Premio Pulitzer statunitense Glenn Greenwald, profondo conoscitore del Brasile, in alcuni Tweet e interviste ha parlato apertamente di “censura”, “repressione”, e rischio democratico. Il nuovo proprietario di Twitter, Elon Musk, si è detto preoccupato per l’attivismo di de Moraes e quotidiano statunitense New York Times ha aperto un filone di indagine realizzando una serie di reportage sul tema. In Brasile per parte della stampa, della politica e della società civile il giudice, agitando bandiera della salvaguardia della democrazia, sta danneggiando l’equilibrio tra i poteri della Repubblica. Per un’altra parte l’azione, seppur straordinaria, è in questo momento necessaria per arginare il movimento bolsonarista, che si alimenta di fake news diffuse sui social, usate per istigare crimini politici o violenti.

“Qualsiasi moderazione di contenuti o misura che si adotta per impedire divulgazione di contenuti, seppur falsi, sempre genera discussione ampia su libertà di espressione e diritti civili”, afferma Natalia Leal, amministratore delegato e portavoce dell’agenzia di fact-checking Lupa. “Crediamo che esiste sempre un rischio di censura quando abbiamo una struttura dello stato, sia governo o giudiziario, determinando quello che può o non può essere detto. Tuttavia – afferma – è importante dire che la libertà di parola non è un assegno in bianco che da diritto di dire ciò che si vuole, e non possiamo in nome della libertà di espressione permettere che siano commessi crimini. Per avere censura non possiamo avere un crimine. Se c’è un crimine commesso, non si può parlare di censura”, sostiene. Secondo Leal “minacce a persone, gruppi o contro lo stato di diritto, l’incitazione all’odio contro gruppi o politiche pubbliche sono crimini. Se usando la propria libertà di espressione si commette un crimine, si deve rispondere di questo crimine”, conclude.

Censura è quando previamente si presume che alcune opinioni non possono essere emesse. Altra cosa è quando c’è una legislazione che dice chiaramente quali opinioni sono illegali. Fare apologia o istigazione a commettere un crimine è illegale”, afferma il sociologo dell’Università statale di Rio de Janeiro Uerj, Dario Sousa e Silva. Per l’accademico è centrale in questo caso il concetto di dolo, come intenzione di creare danno agli altri. “Se qualcuno divulga informazioni irreali ma verosimili con l’intenzione di arrecare un danno contro qualcuno o qualcosa è un crimine, non c’entra la libertà di espressione. Una persona che produce e diffonde informazioni false per ottenere dei risultati illegali, mostra un’intenzione politica ed è questa che è finita nel mirino della Corte suprema”. Citando l’opera Società aperta e suoi nemici di Karl Popper, Sousa parla del paradosso della tolleranza. “Se in un mezzo sociale si apre spazio a tolleranza illimitata a qualsiasi opinione o comportamento la conseguenza è la fine della tolleranza. Non si può tollerare una posizione politica che impone limiti alla propria tolleranza. Quello che prevede distruzione dell’altro o distruzione dell’ordine, va contro il principio della tolleranza”, conclude.

(nella foto Moraes insieme a Lula)

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