Quindici punti di penalizzazione. È la clamorosa stangata decisa della Corte federale d’Appello della Figc nei confronti della Juventus per il “caso plusvalenze“: una sanzione che va molto oltre quella richiesta dal procuratore Giuseppe Chinè, che si fermava a nove punti. I giudici sportivi hanno deciso di riaprire il procedimento concluso il 27 maggio scorso con l’assoluzione di nove club dall’accusa di aver realizzato plusvalenze fittizie. Ma solo nei confronti della società bianconera: Sampdoria, Empoli, Genoa, Parma, Pisa, Pescara, Pro Vercelli e il “vecchio ” Novara, infatti, sono stati prosciolti. La Procura federale aveva chiesto la revocazione parziale di quella sentenza sulla base di “nuovi elementi di prova“: cioè le intercettazioni e i documenti, arrivati dai pm di Torino, relativi all’inchiesta Prisma, che vede Andrea Agnelli e gli ex vertici della Juventus imputati con l’accusa (tra le altre) di falso in bilancio. La penalizzazione ha effetto immediato, ferma restando la possiblità per il club torinese di fare ricorso – entro trenta giorni dalla pubblicazione delle motivazioni – al Collegio di Garanzia del Coni. Pertanto i bianconeri scendono da 37 a 22 punti nella classifica di Serie A, precipitando dal terzo al decimo posto, alla pari con Empoli e Bologna, lontanissimi dai piazzamenti che portano a qualificarsi per le coppe europee.

L’udienza è cominciata poco prima delle 13 di venerdì e si è conclusa intorno alle 17, mentre il verdetto è arrivato alle 21. Oltre alla penalizzazione, la Corte presieduta da Mario Luigi Torsello ha inflitto l’inibizione dallo svolgimento di attività in ambito Figc (con richiesta di estensione a Uefa e Fifa) per due anni e mezzo all’ex direttore sportivo bianconero Fabio Paratici, per due anni all’ex presidente Andrea Agnelli e all’ex consigliere d’amministrazione Maurizio Arrivabene, per un anno e quattro mesi all’attuale ds Federico Cherubini e per otto mesi a Pavel Nedved, ex vicepresidente del club. Anche sotto questo aspetto i giudici sono stati più severi della Procura: la richiesta era di 16 mesi per Agnelli, venti mesi e dieci giorni per Paratici, dieci mesi per Cherubini, 12 mesi per Nedved e Arrivabene. Nei confronti delle altre società coinvolte, invece, erano state chieste delle semplici multe. In parallelo al caso plusvalenze resta aperto il filone sulle cosiddette “manovre stipendi“, le scritture private con i calciatori che la Juve ha sottoscritto nelle stagioni 2019/20 e 2020/21, secondo i pm torinesi per falsare i bilanci: sotto questo aspetto il procedimento sportivo parte da zero e a breve il procuratore Chinè potrebbe a breve chiedere il deferimento della società e dei suoi amministratori. Il vecchio consiglio d’amministrazione della Juventus si era dimesso in blocco a fine novembre, subito prima della richiesta di rinvio a giudizio.

A seguire l’udienza in collegamento da Torino c’era anche il nuovo presidente della Juventus, Gianluca Ferrero. Oltre ai legali era presente il ds Cherubini. Collegato anche Paratici, ora dirigente del Tottenham. Il club bianconero ha depositato una memoria difensiva, con le posizioni già espresse e ribadite: ricorso “inammissibile, in ragione dell’assenza, nel caso in esame, dei presupposti applicativi di tale mezzo di impugnazione straordinario”, cioè di “fatti nuovi“, secondo il principio per cui “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato” (ne bis in idem). “Tale divieto”, argomentava la memoria, “costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano, così come riconosciuto dalla Corte Costituzionale, che, come noto, ha pienamente recepito le indicazioni interpretative in materia provenienti dalle Corti europee”. Gli avvocati Maurizio Bellacosa, Davide Sangiorgio e Nicola Apa ammettevano che secondo “l’orientamento della giurisprudenza sportiva (…), l’istituto della revocazione ex art. 63 del Codice giustizia sportiva, non violerebbe il divieto di bis in idem né risulterebbe incompatibile con il Codice di Giustizia del Coni”. Ma chiedevano ai giudici di impegnarsi in “una rinnovata e approfondita riflessione in materia”, superando quell’interpretazione.

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