Le parole che non ti ho detto era il titolo di un film di successo. Ora, invece, rischia di essere il titolo della fiction sulle intercettazioni scritta e interpretata dal ministro Nordio. Dopo le sgradevoli parole rivolte ai giudici antimafia, proprio nelle ore degli arresti di Matteo Messina Denaro, ora si moltiplicano gli appelli a limitare le intercettazioni, a impedire la pubblicazione, ad aumentare le pene verso i cronisti, addirittura i forzisti hanno proposto di reintrodurre il carcere anche per la pubblicazione di intercettazioni non più coperte dal segreto.

Le loro intenzioni sono rivelate non solo dalle parole dette, ma soprattutto da quelle non dette.

Perché mai il ministro, nel sottolineare uso e abuso delle intercettazioni, non ha mai fatto cenno alla necessità di liberare croniste e cronisti dall’uso e abuso delle querele bavaglio? Non solo i ministri le usano per minacciare giornali e giornalisti, ma ora anche i Graviano si sentono legittimati a minacciare e a querelare Roberto Saviano e non solo lui. Perché il ministro non ha detto nulla sulle ripetute violazioni del segreto professionale e della tutela delle fonti, basterebbe pensare all’acquisizione dei tabulati della redazione della trasmissione Report?

Eppure il ministro, e con lui i numerosi parlamentari plaudenti, dovrebbero sapere che la Corte europea ha ribadito non solo la liceità, ma persino l’obbligo a pubblicare le notizie di rilevanza sociale e di pubblico interesse. Perché questa dizione non è mai stata recepita dalla legislazione italiana, né oggi, né ieri, da governi di altro colore?

Evidentemente chi oggi chiede una stretta sulle intercettazioni e sulla loro pubblicazione la vuole strettamente connessa alle querele bavaglio, alla sistematica violazione delle fonti, all’ulteriore riduzione del libero esercizio del diritto di cronaca, fingendo di non sapere che, proprio questi i nodi irrisolti, hanno fatto precipitare l’Italia nelle graduatorie internazionali sulla libertà di informazione. Di questo passo non dovremmo tardare ad affiancare l’Ungheria di Orban.

Dal momento che il ministro Nordio rimprovera alle istituzioni dei giornalisti una scarsa attenzione ai temi delle garanzie, vorremmo solo ricordare che la riforma dell’Ordine è chiusa nei cassetti da decenni e che la stessa proposta di istituire un Giurì per la lealtà dell’informazione, capace di ripristinare in poche ore una immagine violata, di imporre una rettifica negata, di garantire il diritto di replica, non è mai stata discussa, tanto gli oligarchi non ne hanno bisogno, meglio una querela bavaglio, una minaccia, tanto gli indifesi resteranno sempre gli ultimi, quelli che non possono neppure permettersi un avvocato. Costoro sono davvero le prime vittime dei casi, che pure esistono, di mala informazione.

Se queste sono le premesse, non dovrebbe essere difficile immaginare come sarà condotto il confronto sul presidenzialismo. Prima la “stretta”, per i pesi e contrappesi, ci vorrà tempo, anzi, forse, quel tempo non verrà mai.

Il prossimo 25 aprile, come ha chiesto l’associazione Articolo 21, sia davvero una giornata di liberazione e di tutela della Costituzione come l’hanno voluta le donne e gli uomini che hanno cacciato i nazisti e i fascisti, traditori della Patria.

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Il Fatto Quotidiano ha promosso una petizione perché il ministro Nordio si dimetta: qui per sottoscriverla

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