Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di fine anno, l’ha citata come prova del fatto che il governo – nonostante i condoni – è impegnato nella lotta contro l’evasione fiscale. “Mi dispiace che non abbiate notato come in manovra ci siano nuove assunzioni all’Agenzia delle entrate e la norma contro le aziende apri e chiudi“, ha rivendicato la premier. Ma la “stretta sulle false partite Iva“, ispirata a vecchie proposte della Lega e di Fratelli d’Italia dichiaratamente mirate a colpire i commercianti stranieri, raggiungerà l’obiettivo di prevenire le frodi fiscali e previdenziali? Il giudizio degli addetti ai lavori è attendista. Per Gian Gaetano Bellavia, commercialista ed esperto di diritto penale dell’economia, la disposizione ha buone probabilità di successo se sarà supportata dall’utilizzo massivo delle ormai ampie banche dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria. Alessandro Santoro, ordinario di Scienza delle finanze alla Bicocca e presidente della Commissione per la redazione della Relazione sull’economia non osservata e l’evasione fiscale e contributiva, attende di vedere il provvedimento attuativo affidato al direttore delle Entrate per capire se si farà ricorso ai dati degli accertamenti. Andrea Bongi, membro del comitato scientifico dell’Associazione Nazionale Commercialisti, ricorda dal canto suo che ci sono realtà territoriali in cui la norma rischia di fare flop perché non tiene conto della facilità di procurarsi prestanome all’interno di alcune comunità etniche.

Come funzionano le frodi – Un passo indietro. Il fenomeno delle società “apri e chiudi”, che nascono con l’obiettivo di eludere il fisco e in molti casi diventare veicolo di frodi carosello sull’Iva, ha conseguenze pesantissime per l’erario visto che contribuisce a un’evasione Iva da record (25 miliardi nel 2020 su 89,9 miliardi evasi totali). Lo schema standard prevede che si apra una ditta individuale o una srl, si assumano dipendenti, a volte ci si aggiudichi un subappalto, si incassino i ricavi e si accumulino pendenze fiscali e contributive. “Nel frattempo si fanno uscire i soldi dall’Italia verso giurisdizioni estere con fatture false”, aggiunge Bellavia. Tempo qualche anno si chiude, lasciando l’erario a bocca asciutta. Poi si sparisce e si ricomincia, con una nuova partita Iva. Durante la campagna elettorale Meloni aveva promesso un intervento ad hoc, con un target preciso: “Non permetteremo più il gioco dell’apri e chiudi fatto soprattutto dagli extracomunitari, aziende che non pagano un euro di tasse, agiscono nell’illegalità e poi chiudono. Chi vuole lavorare da noi è il benvenuto, ma chi arriva da fuori dell’Unione europea, prima di aprire la serranda, dovrà presentare una fidejussione a garanzia del pagamento delle tasse”.

Cosa dice la nuova norma – E la norma in manovra c’è, ai commi 148-150 del testo approvato in via definitiva il 29 dicembre. Per ovvi motivi di parità di trattamento non riguarda solo gli extracomunitari. Modificando alcuni commi del Testo unico Iva del 1972, dispone che all’apertura di una nuova partita Iva l’Agenzia delle Entrate non faccia più solo – come già avviene – “riscontri automatizzati” ed eventuali controlli in presenza, ma anche specifiche analisi del rischio in seguito alle quali “invita il contribuente a comparire di persona” nei suoi uffici portando registri e scritture contabili per consentire ai funzionari di verificare che sia tutto in regola e che l’attività dichiarata venga davvero svolta. “Ma la vera novità è che se l’esito è negativo e la partita Iva viene quindi chiusa, il titolare deve pagare una sanzione di 3mila euro e può chiederne un’altra solo previo rilascio di una fideiussione (garanzia, ndr) di almeno 50mila euro“, spiega Bongi. La cifra sale ulteriormente nel caso ci siano violazioni fiscali accertate prima del provvedimento chiusura e non sanate. È stata invece eliminata in extremis, con emendamenti bipartisan, la responsabilità in solido del commercialista che invia alle Entrate la dichiarazione di inizio attività. Sarà il direttore dell’Agenzia delle Entrate a dover stabilire con suoi provvedimenti “criteri, modalità e termini per l’attuazione, anche progressiva, delle disposizioni”.

Funzionerà? I pareri – Secondo Bellavia è un buon inizio: “Immagino che per l’analisi del rischio saranno utilizzati i big data oggi a disposizione, che hanno potenzialità inimmaginabili. Basterebbe andare a guardare i precedenti penali degli amministratori e degli soci, o il numero di società che fanno capo a singoli soggetti magari 90enni o 18enni, come ha fatto in passato il Centro di ricerca sulla criminalità transnazionale della Cattolica…”. “È positivo che si parli di “analisi del rischio”, che significa incrocio dei dati e utilizzo delle tecniche di data mining e machine learning”, aggiunge Santoro, “ma sarebbe importante che fosse fatta utilizzando i dati degli accertamenti. Cosa complicata. Se invece si utilizzeranno criteri induttivi sarà un tentativo apprezzabile ma simile ad altri fatti in passato. Attendiamo il provvedimento attuativo”.

Il nodo dei prestanome – Bongi, che opera in Toscana, ha una riserva che riguarda uno specifico contesto: “Penso alle comunità cinesi nella mia regione: chi chiude dopo aver messo in atto una frode di questo tipo riapre solitamente con un titolare diverso, un prestanome “vergine”, senza pendenze. Si tratta di persone che possono lasciare il territorio nazionale e diventare impossibili da rintracciare”. Il fenomeno è di ampia portata, stando a un’indagine chiusa nel 2021 da Guardia di Finanza e procura di Firenze con 30 misure cautelari nei confronti di cittadini cinesi titolari di società del pronto moda e impiegati dello studio legale che aveva messo a punto lo schema mirato a non pagare le imposte. “Ma sfugge alla stretta prevista in manovra, che quindi rischia di sfociare in un nulla di fatto”, continua Bongi. Al contrario i prestanome italiani, nell’esperienza di Bellavia – che è stato anche consulente di diverse procure in materia di criminalità economico finanziaria – “possono essere decine o centinaia, ma certo non sono migliaia. Trovarli non è così facile. Tanto è vero che le indagini massive sui dati delle Camere di commercio italiane hanno mostrato come a ciascun prestanome siano intestate anche centinaia di società“.

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