Erano una cinquantina circa. I grandi vecchi, l’immarcescibile Gianni Petrucci, l’ottuagenario Franco Chimenti, i recordman Rossi e Aracu in carica ininterrottamente dal ’93. Ma anche i più giovani, che non hanno problemi di rielezione nell’immediato ma guardano lungo, intravedono davanti a sé una lunga carriera. Poche le assenze: Tecchi della ginnastica, che ha ben altri problemi a cui pensare; Barelli del nuoto, al momento inibito dai vertici mondiali; Gabriele Gravina del calcio che aveva precedenti impegni. Ma anche chi non c’era condivide la battaglia. Tutti riuniti al Coni con un unico obiettivo: salvare la poltrona.

La crociata dei presidenti delle Federazioni sportive per fregare lo Stato e farsi rieleggere, praticamente in eterno, è arrivata ad un momento di svolta. Gli escamotage, come gli accorpamenti fantasiosi fra discipline (il caso del biliardo e del bowling raccontato dal Fatto.it), sono solo palliativi. Per mantenere il potere bisogna abbattere la legge 8/2018 (la famosa “Legge Lotti”), che ha stabilito un massimo di tre quadrienni per le cariche sportive e al prossimo giro manderebbe a casa i presidenti storici. E l’ultima sentenza del Tar, che accogliendo il ricorso di uno sconosciuto consigliere regionale del tennis ha sollevato dubbi di costituzionalità sul limite dei mandati, apre per la prima volta una crepa.

Una novità così importante da convocare d’urgenza un incontro, riservato ai soli presidenti federali. Una riunione informale, per spiegare come si è arrivati al “grande risultato” e vagliare i prossimi passi. Niente tecnici o avvocati. Nessun rappresentante del governo e nemmeno del Coni: Malagò era a Milano, si è limitato a concedere lo spazio. Inizialmente si era parlato addirittura del salone del Foro Italico, che però avrebbe dato una forma di ufficialità all’incontro: davvero troppo. Meglio ripiegare sulla più discreta sala dei presidenti. Piccola, ma comunque traboccante di entusiasmo misto a indignazione. “Ero sicuro che il Tar ci avrebbe dato ragione!”. “Ma poi perché dovremmo farci da parte quando alcuni politici stanno da 40 anni in Parlamento?”. “Non si può mettere da parte l’esperienza”. “E la nostra autorevolezza internazionale dove la mettiamo?”.

Tutti d’accordo sulla necessità di insistere, battere il ferro finché è caldo. In prima fila, Angelo Binaghi, capo della FederTennis, la Federazione che si è prestata ad ospitare il ricorso (presentato da un anonimo consigliere regionale). E Franco Chimenti, storica guida del golf, indicato un po’ a capodelegazione. Il giudizio del Tar cambia tutto e niente: i giudici amministrativi hanno accolto l’obiezione di costituzionalità e rinviato alla Consulta la legge, che per il momento resta in vigore. Per salvare i boiardi, la Corte Costituzionale dovrebbe decidere entro l’estate 2024. Potrebbe affossare definitivamente il ricorso, accoglierlo in tutto o solo in parte (il Tar ad esempio ha avanzato l’ipotesi di circoscrivere il tetto ai soli mandati consecutivi). Troppe le variabili per ipotizzare scenari concreti. Ma lo spauracchio della Consulta dà ai presidenti un argomento in più per tornare a bussare con forza alla porta del governo, che certo non vorrebbe ritrovarsi con una sentenza sfavorevole tra capo e collo a poche settimane dalle elezioni: il ministro Abodi si era espresso negativamente sulla questione, ma le pressioni ora saranno ancora più forti. Il prossimo passo sarà chiedere un incontro e capire se ci sono margini per modificare la norma. La casta dei presidenti sportivi ci crede ed è pronta alla battaglia.

Twitter: @lVendemiale

Articolo Precedente

“L’era delle Farfalle è morta”: il post della capitana della nazionale di ginnastica ritmica

next
Articolo Successivo

“Il codice rosso entra nel mondo dello sport”: in Procura a Milano firmato protocollo d’intesa tra giustizia ordinaria e sportiva

next