I parchi storici stanno compiendo un secolo di vita. Il primo a nascere sul finire del ’22 (l’anno nefasto della Marcia su Roma) è stato quello del Gran Paradiso, del quale le celebrazioni sono giunte al loro apice il dicembre scorso tra le sale decorate con centinaia di trofei di stambecchi del Castello di Sarre, vicino ad Aosta. Ora è la volta del Parco Nazionale d’Abruzzo. L’11 gennaio, al Centro Natura del Parco di Pescasseroli, si terrà una giornata di studi e commemorazioni a vario livello.

Cos’ha da dirci, oggi, la storia dei due parchi più antichi d’Italia? Il primo, quello del Gran Paradiso, venne istituito anche allo scopo di proteggere lo stambecco, all’epoca in pericolo di estinzione; quello d’Abruzzo per costruire un involucro protettivo intorno all’orso marsicano. L’obiettivo, si potrebbe dire a conti fatti, è stato raggiunto, anche se l’orsetto appenninico sarà sempre sotto minaccia. Quando la linea demografica di una specie si riduce all’osso, fino ad essere rappresentata da pochi esemplari, sarà sempre in pericolo, anche se dovesse aumentare considerevolmente di numero. Ciò dipende dall’impoverimento del patrimonio genetico. Quando il patrimonio di geni si riduce, non si può far più niente. È come se ci si accoppiasse tutti all’interno di una stessa famiglia allargata. E malattie, disfunzioni, pericolo di sopravvivenza saranno sempre in agguato.

Ma se c’è un anno davvero speciale della storia del Parco d’Abruzzo questo è il 1974. Fu allora che tre ragazzotti vestiti con camicie a fiori e lunghi maglioni sotto l’eskimo grigioverde diedero vita a una delle avventure di ricerca etologica più memorabili di sempre. I tre scienziati, il romano Luigi Boitani, il tedesco Erik Zimen e l’americano David Mech, riuscirono a catturare un lupo e a infilargli per la prima volta un radiocollare. La notizia ebbe ampia eco nelle università del mondo occidentale.

Per mesi, pedinarono quell’esemplare, che non avrebbe mai dovuto uscire dal campo di ricezione radio (il Gps all’epoca non c’era). Vagavano a turno, da soli, seguendo un vago bip-bip. Di giorno, all’alba, nel buio, penetrando l’aura primordiale delle foreste, sotto la luna o le stelle, o avvolti nella nebbia, per inseguire in silenzio la loro invisibile preda. Quello studio, e poi altri compiuti dagli stessi tre giovani, portò alle prime conoscenze dirette dell’animale, che per antiche superstizioni non era mai stato studiato a dovere. Il “canis lupus italicus” trovava per la prima volta uno sguardo consapevole che lo avrebbe riscattato dagli antichi tabù. Due anni dopo, il 22 novembre 1976, venne approvata la legge sulla caccia con la definitiva protezione legale del lupo su tutto il territorio italiano.

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Cibo a base di insetti: spostare il problema non è la soluzione

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