Sarà perché siamo all’inizio dell’anno nuovo e siamo tutti animati da buone intenzioni, ma io vorrei oggi riconoscere un merito alla nuova maggioranza che, dopo un decennio di governi tecnici e ammucchiate contronatura, ci ha mostrato il vero volto della destra. E che, di conseguenza, sta offrendo una grande opportunità a chi vorrebbe essere di sinistra, o quantomeno a chi ambirebbe a un futuro permeato da valori e modelli radicalmente alternativi a quelli che cementano l’attuale maggioranza parlamentare.

Per troppo tempo la diversità destra/sinistra è stata confinata nei convegni, nelle interviste o sui libri. Poi, nella realtà dei fatti, l’assenza di chiare maggioranze parlamentari e le conseguenti pressioni quirinalizie hanno autorizzato soluzioni opportunistiche e trasformistiche che, in ragione di presunti interessi superiori nazionali, hanno annacquato le differenze e le alternative. Abbiamo così scoperto che non è solo il sonno della ragione che genera mostri, ma anche quello della politica.

Se poi tutto questo, a sinistra, viene giustificato dalla propria presunta superiorità morale, si può comprendere come per il Pd sia stato possibile avallare alleanze con personaggi della stregua di Alfano o Verdini, passando per le candidature di Binetti o Casini, fino alla recente beatificazione di Draghi.

Ora però, grazie alla necessità di fare opposizione al governo Meloni, ci sono le condizioni per tornare a “dire qualcosa di sinistra”. Per il Pd si tratta di una grande opportunità, ma anche di un problema. Opportunità, perché lo spostamento a destra dell’asse di governo apre enormi spazi di interlocuzione e grosse potenzialità di acquisizione del consenso verso consistenti porzioni di elettorato. Problema, perché gran parte della classe dirigente di quel partito, dopo il sostegno acritico o addirittura entusiastico ai governi che si sono susseguiti nell’ultimo decennio, ha totalmente perso la credibilità e la fiducia di una gran parte delle persone che non si riconoscono nei valori e nei programmi della destra.

Ha ragione Cuperlo quando riconosce che in 16 anni il Pd ha perso 6 milioni di voti senza mai riflettere e comprendere le ragioni di questo tracollo. Ma sbaglia non solo sui numeri (i voti persi dal PD dalla nascita ad oggi sono quasi 7 milioni) ma soprattutto quando si illude che il Pd possa essere “salvato”. Si legga il saggio di Marco Tiberi (Il sequestro. Controstoria del PD – ed. People 2022) e si provi a confutare la sua tesi secondo la quale il problema non sono solo i milioni di persone che se ne sono andate scegliendo l’astensione, o Conte o Calenda o Fratoianni, ma sono i 5 milioni che sono rimasti. Molti di loro – dice giustamente Tiberi – sono veri e propri “ostaggi” costretti a votare Pd turandosi il naso. Conclude Tiberi proponendo provocatoriamente una soluzione negoziale che permetta finalmente a queste persone di votare liberi da costrizione. Voglio credere che se questo accadesse – se cioè il centrosinistra riuscisse a offrire all’elettorato una proposta realmente nuova – si creerebbero i presupposti non solo per un voto più convinto degli attuali “ostaggi”, ma anche per un ritorno alle urne di tanti che sono fuggiti.

Il fatto è che, 21 anni dopo piazza Navona, il monito di Nanni Moretti (“con questi dirigenti non vinceremo mai”) deve per forza di cose essere aggiornato: mi spiace per Cuperlo, ma è con questo partito che non vinceremo mai. Non può più bastare sostituire i dirigenti! Né può bastare l’autocritica rispetto a qualche errore tattico o comunicativo. E questo vale soprattutto oggi, dopo la vicenda Panzeri, che ha definitivamente e radicalmente messo fine al mito della diversità morale che ha sempre rappresentato la foglia di fico dietro cui il Pd ha spesso nascosto alleanze improbabili e contronatura e scelte deleterie.

Serve insomma un evento catartico che rimetta il Pd – o forse è meglio dire quello che nascerà dopo il Pd – in sintonia con buona parte delle persone che se ne sono andate e anche con molti di quelle che, nonostante tutto, sono rimaste.

Pensare che tutto questo possa avvenire senza un big bang che azzeri la situazione e faccia ripartire tutto da capo è pura illusione. Limitiamoci all’attualità e facciamo qualche esempio concreto per dimostrare l’assoluta distanza che oggi separa il Pd da una grandissima quantità di persone che nulla ha da spartire con l’attuale maggioranza di destra.

Su Ucraina e riarmo il nuovo governo è totalmente allineato alla linea Draghi. Ma il Pd, che ha fatto del banchiere tecnocrate il suo faro politico, non può o non vuole cambiare posizione. Peccato che la maggioranza degli italiani abbia ben altre idee. Non potendo cambiare la testa degli italiani, non è il caso di lasciare le posizioni filo-Nato alla destra e alle sue ruote di scorta terzopoliste?

Il nuovo governo ha appena dimostrato di essere paladino di condoni, rialzo del tetto al contante e azzeramento dei limiti per i Pos. Qualcuno mi può ricordare se e quando il centrosinistra ha messo per davvero al primo posto la lotta a corruzione ed evasione? E quando Draghi ha cancellato il cashback di Conte perché il Pd è stato zitto? Meloni e la destra non vogliono sentire parlare di salario minimo e stanno abolendo il reddito di cittadinanza. Ma si tratta di strumenti che hanno trovato il sostegno dei vertici del Pd solo pochi mesi fa. In materia di lavoro gli elettori italiani sanno bene che, su questi temi, sono altri i partiti che li hanno fatti propri per davvero e identificano il Pd con il Jobs Act e con la subalternità ai diktat di Confindustria.

Per riequilibrare i nostri disastrati conti pubblici la destra esclude di mettere le mani nelle tasche degli italiani. Non mi risulta che il Pd abbia mai avallato la proposta di una patrimoniale sui redditi medio-alti. Siamo davvero sicuri che la maggioranza del Paese non apprezzerebbe una proposta di questo tipo?

Per la destra e le sue ruote di scorta la vera priorità del Paese è una riforma della giustizia a favore dei più forti: riduzione delle pene per i reati di corruzione, restrizione delle intercettazioni e dei tempi di prescrizione, riforma dell’abuso d’ufficio. In sintesi: demolizione delle buone riforme volute dai 5 stelle. Peccato che buona parte del gruppo dirigente del Pd sia tuttora a favore di queste controriforme e che abbia sposato acriticamente la demenziale riforma Cartabia. Che ne pensa il suo elettorato?

La nuova maggioranza si appresta a riformare lo Stato potenziando le autonomie regionali. Molti italiani però potrebbero pensarla diversamente. Si vada a chieder loro se nella recente pandemia si sono sentiti più tutelati dallo Stato o dalle Regioni. E perché a sinistra si evita di affrontare questo tema? Si ha paura di essere definiti centralisti?

E quanto può pagare in termini di consenso la prospettiva di superare la subalternità della destra ai modelli che mettono sullo stesso piano sanità pubblica e sanità privata? O scuola pubblica e scuola privata? E perché su questi temi si è sempre balbettato?

Ci sono poi le millemila altre questioni su cui ha sempre vinto la linea veltroniana del “ma anche”. Purtroppo, i “campi larghi” che tengono insieme pace e guerra, sviluppo e ambiente, ricchi e poveri, guardie e ladri, pubblico e privato, possono esistere forse nelle elucubrazioni in politichese, ma non nella realtà.

E infatti la realtà ha già detto il 25 settembre e lo sta ripetendo nei sondaggi che per il Pd e il centrosinistra è tempo di fare scelte radicali. Le possibilità sono solo due: azzerare tutto ripartendo da una nuova carta dei valori e da un nuovo programma e chiedendo a chi ci sta – dentro e fuori il Pd – di condividere questo percorso di rinascita. Oppure, rimanere confinati nel proprio orticello, sistemare gli organigrammi tenendo invariata l’illusione di unire tutti e tutto, finendo così per perdere gli uni e gli altri e condannandosi di fatto all’estinzione.

Non è un aggiustamento formale che desiderano molti di coloro che se ne sono andati. E mi permetto di pensare che probabilmente non è nemmeno questo che spera buona parte dei 5 milioni di “ostaggi” che, nonostante tutto, resistono stoicamente a difesa della ditta.

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