Se il governo mostra i denti contro chi salva vite in mare, c’è un altro pezzo di Stato che tiene il punto ed alza la voce. E’ la democrazia bellezza! Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ci ha messo meno di 48 ore per reagire al decreto del 28 dicembre col quale il governo Meloni ha inteso stringere le viti con urgenza alla “fastidiosa” attività di chi si ostina a stare in mare per cercare e soccorrere naufraghi.

Lo ha fatto con una nota pubblicata sul proprio sito il 30 dicembre e firmata dal presidente Mauro Palma. Lo ha fatto con garbo istituzionale e dichiarando in più passaggi l’intento di collaborare con governo e Parlamento (che avrà il compito di convertire in legge il decreto entro sessanta giorni) al fine di chiarire tutti i possibili “nodi” critici, ma lo ha fatto con fermezza e senza sorvolare sui profili etici, prima ancora che politici, di un simile intervento.

Chissà se le operazioni che si stanno svolgendo mentre scrivo e che riguardano l’ultimo intervento della Geo Barents, risentano già positivamente della posizione tenuta tempestivamente e più che opportunamente dal Garante. Infatti, almeno da quanto è dato leggere sugli organi di stampa a cominciare da Il Fatto, la Geo Barents, coordinandosi sempre con le Autorità italiane competenti, ha realizzato un salvataggio plurimo ed è stata poi avviata verso il porto di Taranto (che a tutta evidenza è più vicino e dunque più congruo di quello di Ravenna!).

Il Garante ha sentito il dovere di puntualizzare, per fare riferimento soltanto a qualche passaggio, che sarà il Parlamento a valutare la legittimità costituzionale del decreto sotto il profilo della urgenza (leggasi: come si fa a trattare con provvedimenti d’urgenza un fenomeno che ormai è strutturale da anni?); che l’Italia (nonostante le massicce iniezioni di propaganda “sovranista”) è sempre legalmente sottoposta ai Trattati internazionali ed alle Convenzioni relative al mare ed a chi lo attraversa; che le Autorità italiane potranno indicare il porto sicuro al quale l’imbarcazione che abbia effettuato il salvataggio dovrà dirigersi, ma che questa indicazione non potrà in alcun modo aggravare le condizioni di sofferenza delle persone raccolte in mare; che l’indicazione di evitare salvataggi plurimi può essere legittima soltanto se posta a declinazione del dovere di raggiungere il porto sicuro nel più breve tempo possibile e non certo per impedire ulteriori salvataggi, qualora la mancanza di intervento possa cozzare contro il superiore obbligo di intervenire in caso di pericolo; che l’indicazione di raccogliere a bordo della imbarcazione le richieste di asilo o protezione è legittima a condizione che sia una possibilità aggiuntiva, rispetto alla prassi, che ci siano le condizioni per realizzarla e soprattutto che per nessun motivo questa “possibilità” faccia venire meno gli obblighi previsti dalle leggi dello Stato di sbarco; che l’indicazione che trasforma gli illeciti penali in illeciti amministrativi può essere considerata ragionevole nella più generale prospettiva della depenalizzazione, anche se, sostiene sapientemente il Garante, il vaglio delle condotte da parte della Magistratura e cioè di una Istituzione indipendente resta un presidio di garanzia (il Ministro Nordio sarà sobbalzato sulla sedia a questo anacronistico richiamo!) e che, ovviamente (cit.), i respingimenti collettivi sono sempre proibiti.

Il Garante conclude con una considerazione che riconcilia con la Repubblica e che riporto integralmente: “Un dialogo che tiene presenti i diritti e le necessità primarie, incluso il soccorso, di chi mette in mare la vita propria e quella dei suoi cari in cerca di un ‘altrove’ migliore, il diritto della collettività a essere rassicurata circa la presenza di persone irregolari sul proprio territorio, il diritto dell’Ordinamento a non essere esposto a rischi di censura rispetto a quegli impegni che costituiscono l’ossatura del proprio sistema democratico”.

Qualcuno nei Palazzi romani avrà storto il naso, ritenendo che l’intervento del Garante abbia esondato dal perimetro che la legge gli affida e che insomma, avrebbe fatto meglio a non impicciarsi. Invece credo che il Garante abbia interpretato con grande sensibilità ed intelligenza il proprio mandato che deriva dalla Convenzione Onu contro la tortura, una Convenzione ratificata dall’Italia ed alla quale l’Italia ha faticato parecchio a dare attuazione. La questione “tortura”, come ci ricordano tragicamente i fatti iraniani, ha tipicamente a che fare con il rapporto tra lo Stato, la sua autorità, la sua forza, il preteso monopolio dell’uso legittimo della violenza, e le persone che a vario titolo entrano nella sua sfera di azione.

Tortura lo Stato non soltanto quando uccide Stefano Cucchi, non soltanto quando massacra i manifestanti di Genova, non soltanto quando lascia morire malamente nei Centri di espulsione, non soltanto quando pesta ed umilia i detenuti nelle carceri, ma anche quando contribuisce ad acuire le sofferenze di individui inermi che, uso ancora le parole del Garante, “mettono in mare la vita propria e quella dei propri cari in cerca di un ‘altrove’ migliore”.

E’ la “democrazia bellezza!”: quella fondata dalla Costituzione antifascista del 1948, quella per la quale chi vince le elezioni non diventa padrone dello Stato, con buona pace degli “eredi del Duce” e dei ministri che evocano il “machete” per dare una regolata a chi dice “No!”.

Abbiamo già dato e non abbiamo dimenticato.

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