di Alessio Andreoli

Che la lezione sia servita? In questi anni abbiamo assistito, in nome del bene del paese, a coalizioni a dir poco impossibili. Inutile elencarle, le abbiamo viste tutti a cominciare dai governi cosiddetti tecnici passando per qualche altra sconvolgente (solo per noi elettori) ammucchiata, vere e proprie accozzaglie da far invidia all’armata Brancaleone.

Ci siamo bevuti di tutto, da Silvio Berlusconi operaio come noi a Beppe Grillo che ci diceva che i Cinque Stelle sarebbero andati al governo solo quando avrebbero avuto la maggioranza assoluta, a Giorgia Meloni di oggi che prometteva la fine della pacchia passando per i vari Matteo Salvini, Matteo Renzi e compagnia bella. Così, mentre “l’operaio” tentava di saccheggiare la giustizia, consapevolmente dava lezioni di grande opportunismo aprendo gli occhi alle schiere di virgulti che osservavano sia da destra che da sinistra le sue prodezze.

La lezione più importante è stata: ma perché scervellarsi per aggirare le leggi quando abbiamo la possibilità di fare le leggi che più ci aggradano? Intanto noi cittadini un po’ presi dal quotidiano, distratti dal Grande Fratello, incantati per l’ennesima volta dall’eroe politico di turno, ma ogni volta sempre più delusi, gradualmente abbiamo cominciato a perdere ogni fiducia nei partiti. Non riusciamo più a distinguerli e ci sembrano diventati tutti dottor Jekyll e signor Hyde.

Ci interroghiamo almeno quelli che hanno conservato un minimo di dignità e ci chiediamo chi deve imparare la lezione? I politici o noi cittadini? Per cercare una risposta mi sono messo a sfogliare i 5 volumi dei 50 Anni dell’Espresso, 50 anni condensati in 3000 pagine dal 1955 al 2005. Ho iniziato dal primo volume e il primo articolo è Capitale Corrotta=Nazione infetta quattrocento miliardi di Manlio Cancogni, per poi proseguire con Affari e Olimpiadi e via via tanti altri scandali, compresi I fondi neri di Silvio di Peter Gomez e Leo Sisti e l’attualissimo Vivono con i ladri e poi fingono di stupirsi se rubano, di Giorgio Bocca.

Insomma sembra che dal 1955 a oggi, in quasi 70 anni, non sia cambiato niente, che nessuno abbia imparato la lezione – né noi né i politici. Ma non è così, perché noi cittadini ci proviamo. Ci siamo spostati da un partito all’altro. Abbiamo ascoltato i rivoluzionari relatori che periodicamente si indignavano rossi di rabbia con il potere costituito. Abbiamo ascoltato i rottamatori, i vaffanculo, Roma ladrona e Dio Patria e Famiglia, ma a quanto pare siamo punto a capo e molti, oramai sconsolati, disertano e abbandonano le istituzioni. Come biasimarli?

Quindi, cari politici di ogni provenienza, la lezione dovete impararla voi e visto che non avete studiato niente vi metto tutti dietro la lavagna con le orecchie da somaro (in galera a quanto pare non ci andrete mai) e domani vi dovete presentare con la nota sul registro firmata dai vostri genitori, anzi dalle vostre nonne, forse persone più degne di voi (scrivo nonne e non nonni, chi vuol intendere intenda).

Sono consapevole di fare di tutte le erbe un fascio, ma cari deputati, senatori, portaborse, assistenti, funzionari, segretari, attivisti, sindaci, magistrati e presidenti vari: sta a voi dimostrare a me, comune uomo della strada e cittadino italiano, che i valori esistono ancora e che ancora c’è chi li mette prima del denaro ed è disposto a sacrificarsi per essi. Io mi metto seduto sulla riva del fiume e aspetto. La speranza e la fiducia le ho messe da parte, semplicemente aspetto di poter scrivere ancora e sarò ben felice di ritrattare tutto quanto scritto sopra.

Un’ultima osservazione: gli auguri per le feste ve li potete anche tenere. Sono rimandati al mittente. Non vogliamo auguri, ma impegno, serietà e applicazione. Vogliamo giustizia sociale, vogliamo pace e attenzione alle nostre esigenze di qualsiasi etnia io sia, di qualsiasi provenienza io sia, di qualsiasi orientamento sessuale io sia.

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