Dal palco dei festeggiamenti per i dieci anni dalla fondazione di Fratelli d’Italia, il partitino che ha fagocitato i dinosauri della destra italiana, la Premier Meloni ha dichiarato solennemente che adesso si occuperà del Pil. Quindi la nuova battaglia non è più sul versante politico, ma su quello molto più spinoso dell’economia.

Fino a ieri aveva dichiarato che la sua era una finanziaria finalmente politica, cioè puramente ideologica; ora sembra che abbia cambiato parere e che l’economia torni a fare la parte del leone, come è naturale che sia in una legge finanziaria. La finanziaria 2023 dovrebbe promuovere la crescita economica anche per la premier Meloni in versione da statista.

Il nuovo corso meloniano in economia avrà la stessa fortuna di quello politico? I segnali non sembrano promettenti. Intanto c’è di mezzo anche la sfortuna. Il premier Draghi, sempre lodato per i suoi successi economici, ha potuto però giovarsi di due motori che hanno spinto il Pil a superare il 3% nel 2022. Il primo è stato il potente rimbalzo post-Covid del sistema economico ed il secondo è stato l’effetto del superbonus fiscale sugli immobili. Entrambi questi fattori ora non ci sono più. Non stupisce che le stime internazionali diano per l’Italia una crescita zero per il 2023 e addirittura l’inizio di una recessione. Quindi la battaglia per il Pil della Meloni comincia sotto cattivi auspici.

Notizie ancora peggiori, che dovrebbero smorzare l’ottimismo della premier, arrivano da Confindustria e dai mercati finanziari internazionali. Confindustria ha bocciato, seppure in maniera soft come è sua abitudine nei confronti di compagini governative tendenzialmente amiche, la finanziaria 2023 perché “priva di una visione”, cioè di interventi per promuovere la crescita. Il Presidente di Confindustria ha naturalmente apprezzato il notevole sconto energetico, ed anche il forte taglio implicito agli stipendi dei dipendenti pubblici, mentre è stato critico sulle altre misure che si sono limitate a redistribuire le risorse recuperate, anche a debito, tra i differenti attori sociali. Una specie di gioco a somma zero tra categorie di contribuenti.

Si è tolto ai pensionati per pagare la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, sperando di far felici i sindacati; si è cominciato a ridurre il reddito di cittadinanza per finanziare i ricchi professionisti della flat tax; è stato introdotto un bonus fiscale per i dipendenti pubblici pari all’1,5% dello stipendio a fronte di una inflazione cumulata che oramai supera il 10 % con la conseguente ed eccezionale riduzione del loro salario reale. Tutti interventi che semplicemente redistribuiscono il reddito esistente e non lasciano alcuna traccia nella crescita del Pil, determinando però sempre più acute spaccature sociali. Ma Confindustria ha visto il bicchiere mezzo pieno e non è andata molto in là nella critica, una specie di atto dovuto.

Molto più severi sono stati invece i mercati finanziari internazionali. Qui sta suonando un vero e proprio campanello d’allarme per quanto riguarda il sistema Italia. Il segnale è sempre lo stesso se lo si vuole guardare. Lo spread BTP-Bund, cioè la differenza tra il rendimento di un titolo di Stato italiano e uno tedesco a dieni anni, è passato nel 2022 da un minimo di 129 punti al valore attuale di 216 punti. In parole semplici, la nuova finanziaria non ha convinto coloro che comprano i titoli del debito pubblico che chiedono un premio per il rischio sempre più alto. Poiché una delle finalità della legge finanziaria è proprio quella di tranquillizzare i mercati finanziari, soprattutto per Paesi con un debito pubblico come quello italiano, è chiaro che questo obiettivo non è stato conseguito.

Poco conta a questo punto che la Commissione Europea non abbia sollevato obiezioni sostanziali sulla finanziaria 2023. Dall’estero, l’Italia della Meloni appare un paese in condizioni economiche e finanziarie molto critiche, crescita nulla e super debito pubblico. Da dove deriva questo giudizio così severo? Non certo da preconcetti politici; casomai dovrebbe essere il contrario perché la destra è tendenzialmente amica dei mercati, sia nazionali che internazionali. Il difetto principale della finanziaria, oltre che quello essere un insieme contraddittorio di misure con finalità puramente clientelari e redistributive, è che ha un orizzonte temporale di appena tre mesi.

Giorgetti ha inaugurato un tipo nuovo di finanza creativa. Le principali misure di mitigazione dei costi dell’energia, che assorbono la parte principale della manovra, scadranno a fine marzo. Che cosa accadrà dopo? Nella sua relazione alla Commissione parlamentare il ministro ha garantito che verranno prese ulteriori misure. Quali? Non è dato di sapere.

Quando il governo prendeva la legge finanziaria più seriamente, il ministro delle Finanze si assumeva la responsabilità di indicare anche un eventuale piano B, nel caso in cui alcune voci di bilancio non fossero state centrate. Questo piano B era rappresentato dalle clausole di salvaguardia, come ad esempio l’aumento dell’Iva. Un ministro responsabile, come Giorgetti ama presentarsi, avrebbe dovuto già indicare quali tagli fare nel caso in cui l’emergenza energetica si fosse protratta. Ma non così il ministro della Meloni, troppo impegnato nel cucire una finanziaria politica e trimestrale.

Di fronte ad una finanziaria che sta innescando qua e là il conflitto sociale, inesistente sul piano della crescita economica e con risorse che durano appena tre mesi è chiaro allora che l’impianto generale non poteva che essere bocciato dai mercati internazionali che finanziano il nostro debito.

Comunque se le cose vanno poi male, in realtà Meloni ha già un piano B. Uno dei suoi più influenti luogotenenti economici, Guido Crosetto, ha già dichiarato che le decisioni della Banca Centrale costeranno all’Italia 100 miliardi di euro. Ecco allora che se la crescita dell’anno prossimo non ci sarà, la destra italiana all’unisono darà la colpa alla Lagarde e ai suoi cattivi consiglieri. Ora che non si può più attaccare l’Euro, che ci dà i soldi del Pnrr, l’obiettivo di politica economica diventa delegittimare la Banca Centrale. Ma pensare che il tasso di interesse stia fermo con una inflazione galoppante è una tesi da terrappiatismo economico che solo i politici di destra possono raccontare senza preoccuparsi di fare una brutta figura. Peraltro la Bce sta solo inseguendo la Fed, e quindi sono gli Usa a guidare questa escalation del costo del denaro. Quando poi, dall’anno prossimo, sempre la Bce smetterà di ricomprare i titoli di Stato in scadenza, la situazione diventerà ancora più rovente e di sicuro anche le polemiche.

Per adoperare parole spesso usate dalla premier per delegittimare gli avversari, “la pacchia è finita” anche per lei, almeno in economia. La pacchia delle favole demagogiche, buone per vincere le elezioni, ma che in economia conducono a disastri ampiamente annunciati.

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