di Eugenio Fofi

Le posizioni del governo in merito a temi come rave e sbarchi già mostravano come si stesse delineando una logica dell’arbitrio in merito a permessi, all’inasprimento delle pene, ecc. Non quindi come conseguenza di qualcosa di predeterminato secondo norme, ma pura e semplice scelta personale, o discrezionale, sul tema di volta in volta in questione.

Con l’inserimento nella finanziaria dello spostamento delle intercettazioni dal bilancio, e quindi attuazione, del ministero della Giustizia a quello dell’Economia, questa logica si mostra ancora. Non vengono intercettate le persone su fatti conclamati per cui si risponde, in caso, di fronte al giudice, ma sulla base dello spunto d’indagine (leggasi inizio di un’indagine possibile) su temi come “difesa della sicurezza, attività eversive, ecc”. Non conclamata, ma possibile, ipotetica, supposta, appunto discrezionale, richiesta non dal magistrato ma dalle forze di polizia, quindi dal governo e/o da chi ne fa le veci nelle varie sedi istituzionali.

L’arbitrio, la discrezionalità di scegliere di volta in volta, di caso in caso chi condannare più severamente, chi effettua reati o illeciti, chi far sbarcare e chi no, chi intercettare e chi no è un esempio di quello che anche Benjamin Constant (non il mio punto di riferimento filosofico in materia di politica) additava nei Principi di politica del 1815 come un pericolo: “Nulla è al sicuro dall’arbitrio quando esso è tollerato anche una sola volta. Nessuna istituzione gli sfugge e tutte le annienta nel loro fondamento. Tutte le promesse divengono spergiuri, tutte le garanzie divengono tranelli per gli sventurati che si fidano di esse”.

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