di Francesca Scoleri

L’ingresso in punta di piedi del governo Meloni – preceduto da sobri silenzi – restituiva l’immagine di una premier in seria ponderazione sul da farsi per l’Italia; a distanza di due mesi, la fase “lasciamola lavorare” si è amaramente conclusa con la consueta e granitica ricerca di impunità per chi svolge funzioni pubbliche in modo predatorio. Alla voce “patriottismo” possiamo, dunque, ascrivere tutti i reati con i quali ci facciamo riconoscere nel mondo. Immagine destinata al consolidamento da quel poco che abbiamo sin qui visto e udito. Ma proviamo ad elaborare il percorso di insediamento di Giorgia Meloni. Fra la gente. Quella che lei prometteva di non tradire mai.

Inizia attaccando il reddito di cittadinanza conosciuto anche come “reddito di dignità” per il miglioramento della qualità della vita apportato a chi lo ha sin qui percepito – testimonianza di autorevoli dati di controllo nazionali – e prosegue concentrando l’impegno sui portatori di interesse forti, quelli con cui è utile rispettare i patti occulti del pre-elezioni.

Colonna portante degli accordi di palazzo – inutile dirlo – il comparto Giustizia che, allontanato dalla Spazzacorrotti firmata 5 stelle, può tranquillamente modificarsi in ministero di Ingiustizia e impunità. Solito copione: si diffondono a reti e prime pagine unificate le consuete lamentele di una libertà carente, condizionata; di una privacy violata, di processi mediatici e popolari giustizialisti. Il terreno per la riforma voluta da flotte di imputati è seminato.

Dicono, “gli italiani sono dalla nostra parte”. Andiamo a vedere dunque questa convergenza di interessi e bisogni.

Angelica, 26 anni, ha conseguito la seconda laurea; il lavoro sperato non arriva e vivere richiede soldi immediati; ai genitori non vuole chiedere più nulla. Vuole farcela da sola. Prepara casse di bibite da caricare sui camion dentro un magazzino a Milano. 45 ore settimanali a 1.050 euro al mese. La sua preoccupazione è l’uso delle intercettazioni telefoniche?

Antonio, 68 anni, ha scoperto di avere un tumore. L’oncologo chiede esami urgenti che il servizio sanitario pubblico lombardo non può fornire intasato come si presenta. L’esame più importante per ricorrere all’operazione in tempi accettabili, dunque “vitali”, costa 650 euro. Nemmeno la sua tredicesima raggiunge quella cifra. La sua preoccupazione è il processo mediatico degli indagati?

Giulia, 55 anni di cui 29 passati nella stessa azienda, cerca lavoro da ben due anni. All’orizzonte, nessun lavoro e un reddito che fra pochi mesi vedrà sfumare perché dicono che è occupabile. Dove? I suoi sogni sono turbati dallo smantellamento dell’abuso d’ufficio?

Federico 67 anni, a capo di una azienda da 32 anni; a gennaio dovrà chiudere perché non può sostenere i costi esorbitanti di questi tempi assurdi. I suoi 18 dipendenti superano tutti i 54 anni di età. Non si da pace per la separazione delle carriere dei magistrati?

Adriana, 72 anni, per rateizzare bollette di luce e gas, a due giorni dalla riscossione dalla pensione di 650 euro, si rende conto di avere solo 200 euro per tirare il mese. Passa le giornate a sperare che l’attuale avviso di garanzia venga sostituito al più presto?

Marco, 46 anni, sta cercando disperatamente un secondo lavoro perché col primo – 1400 euro per 9 ore al giorno – non arriva a metà mese: mutuo, bollette, due figli da crescere (600 euro di libri solo nel mese di settembre per le scuole medie). E’ preoccupato per la definizione di “imputato” e spera che sia data la priorità a questo grave dramma?

Gianluca, a 28 anni viene considerato merce da rattoppo con un contratto ogni tanto da pochi mesi ciascuno. E’ forse disperato per il fatto che i condannati non possono più occupare cariche pubbliche?

Queste testimonianze – da me raccolte – arrivano tutte dalla ricca Lombardia. Quanto può essere più grave la situazione nelle regioni meno attrezzate? Diceva di non stare un passo dietro agli uomini, oggi è completamente votata a quelli che devono scansare il carcere.

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