Moda e Stile

Chloè, la storia (che in pochi conoscono) del noto marchio francese: la fondatrice Gaby Aghion “vedeva le donne di oggi ma negli anni ’50”

La storia del brand si intreccia non solo con il vissuto personale della fondatrice, ma anche con quello di tutti gli stilisti che l’hanno scritta: un lavoro corale che emerge in tutte le sue sfaccettature nell'ottavo volume della prestigiosa collana Sfilate de L’Ippocampo

di Ilaria Mauri

Quando nel 1952 Gaby Aghion fonda Chloé, ancora non sa che sta inventando il pret-à-porter di lusso, rivolto non solo alle moderne parigine emancipate ed eleganti, ma a tutte quelle donne che si approcciano alla vita e alla propria femminilità in modo non stereotipato. La storia del brand si intreccia non solo con il vissuto personale della fondatrice, ma anche con quello di tutti gli stilisti che l’hanno scritta: un lavoro corale che emerge in tutte le sue sfaccettature nell’ottavo volume della prestigiosa collana Sfilate de L’Ippocampo, un libri che offre la prima raccolta completa delle collezioni Chloé dagli anni Cinquanta a oggi, con le fotografie originali delle passerelle. Il volume è stato presentato alla stampa mercoledì 14 dicembre, nella boutique di via della Spiga a Milano dall’autrice Lou Stoppard, che si è immersa per un anno negli archivi parigini della Maison. Lì ha trovato non solo abiti e bozzetti, ma tanto, tantissimo materiale – dagli inviti agli articoli di giornale – che l’ha guidata nel ricostruire e raccontare i 70 anni di storia di questa casa di moda, ancora oggi tra le più innovative del panorama mondiale.

Originaria di Alessandria d’Egitto, Gaby si trasferisce infatti in Francia insieme al marito, il gallerista Jaques Lenoir. È una donna elegante, sofisticata e molto raffinata quindi si accorge subito del divario che esiste tra chi si può permettere di indossare l’alta moda dei grandi stilisti del momento (vedi Dior e Saint Laurent) e chi, invece, deve accontentarsi di un pronto moda di bassa fattura. “Vedeva le donne come sono oggi, ma lo faceva già negli anni ’50”, dirà suo figlio dopo la sua morte. Contro la volontà della sua famiglia, che non approvava certo che lei lavorasse, convince il marito a supportarla nella sua idea, folle per l’epoca: aprire un atelier. Così, prende in prestito il nome di un’amica, Chloè appunto, a lei caro per la musicalità e la rotondità grafica; e poi, conscia di non avere le competenze né tecniche né creative, si circonda di giovani talenti.

La sua idea è di creare una linea di abiti perfetti per le donne in carriera, avanguardia pura per quegli anni in cui lei per prima aveva vissuto lo stigma che accompagnava le (poche) ragazze che decidevano di lavorare. Nel 1957 lancia la sua prima collezione: è un successo. I suoi abiti riescono ad intercettare un nuovo pubblico, quello delle giovani donne che non potevano permettersi (sia economicamente che socialmente) l’haute couture, e che avevano voglia di smarcarsi dalle convenzioni, guardando al futuro con speranza di novità. Gli affari vanno subito a gonfie vele e il marchio inizia ad assumere una sua identità e riconoscibilità grazie anche al fatto che Gaby impone alle boutique che vendono i suoi capi di mantenere in bella vista l’etichetta con il nome del brand. Ma la Aghion dimostra, ulteriormente, il suo fiuto quando nel 1964 punta sul giovane Karl Lagerfeld e lo assume nonostante abbia alle spalle ha solo pochi (ma fondamentali) anni di esperienza come stilista, dopo il suo apprendistato da Balmain e Patou. All’inizio Karl si inserisce come tassello nel lavoro di gruppo del team stilistico di Chloè: non c’era ancora un direttore creativo, cosa strana per l’epoca. Neanche a dirlo, in breve tempo lui emerge sui compagni e diventa una star, tanto da firmare nello stesso anno la sua prima collezione per il brand. Per vent’anni (fino al 1984), il couturier crea per Chloé collezioni ironiche, malinconiche, romantiche, retrò e modernissime allo stesso tempo. Guarda all’Art Déco di cui è un appassionato collezionista, esplora materiali e texture: bluse impalpabili, abiti leggeri, forme morbide e femminili, tute di pizzo e vaporosi abiti in seta, mantelle leggerissime, colori neutri e stampe dal sapore vintage definiscono immagine libera e sempre attuale del marchio. Con il loro sodalizio, Gaby e Karl danno forma alla moda degli anni ’70 definendo lo stile di un decennio: assieme i due cavalcano i cambiamenti e gli stravolgimenti che il mondo del fashion si trova ad attraversare in quegli anni, proiettandosi verso un mercato sempre più globale, esteso, costellato da nuovi protagonisti, con stilisti e modelle destinati a diventare vere e proprie star senza, però, mai cedere alla retorica della spettacolarizzazione fine a se stessa. Insieme sono la coppia d’oro della moda parigina ma l’incantesimo si rompe quando Karl viene chiamato a prendere in mano le redini di Chanel che, dopo la morte della sua fondatrice, era allo sbando.

Difficile, praticamente impossibile, per Gaby, trovare un sostituto all’altezza della sua eredità: la Maison vive così un momento difficile, una fase di crisi dove diversi direttori creativi si succedono invano al timone. Le difficoltà sono tali che solo un anno dopo, nell’85, la fondatrice decide di vendere la sua creatura. La direzione creativa finisce così nelle mani di Martine Sitbon, francese ma originaria anch’ella del Nord Africa. Il suo legame con l’Inghilterra la porta a contaminare fortemente lo stile Chloè con suggestioni british: il momento è cruciale perché Sitbon riesce a riprendere il controllo del marchio, impostandone tratti e caratteri che resteranno anche nelle direzioni creative successive. Martine è infatti una donna emancipata, molto femminsita, e rinnova il concetto di guardaroba femminile aprendolo a suggestioni che arrivano da altri ambiti quali la musica e l’arte. È l’inizio di una nuova era per il brand, che si avvia così sul percorso che lo traghetterà nella modernità. Tutto questo, però, si interrompe quando Karl Lagerfield decide di tornare alla guida di Chloè per altri cinque anni. Le aspettative sono tante, forse troppe, e lui, che ormai si è immerso nell’heritage di Chanel e ha portato a maturazione il suo stile, non riesce a replicare il successo degli inizi.

Ecco quindi che nel 1987 arriva la 25enne Stella McCartney, la figlia di Paul McCartney, fresca di laurea. Con lei le vendite schizzano alle stelle, trasforma Chloè in un brand cool amatissimo dalle star del momento, che poi sono anche le sue amiche. In prima fila alle sfilate ci sono tutte le celebrity, dai Beatles ad una giovanissima Kate Moss. È l’inizio di una nuova, ulteriore, fase della storia della casa di moda: l’estetica di Chloè inizia ad essere più sensuale ma anche rock, il ruolo dei vip e delle super modelle è centrale e il marchio sbarca anche sui red carpet internazionali. L’idillio finisce però nel 2001, quando Stella lascia per fondare il suo brand personale. A lei succede Phoebe Philo: ha 27 anni, talento da vendere, e si inserisce nel solco del filone estetico della sua predecessora dandogli però, un’impronta più intellettuale e sofisticata. Chloè conferma la sua natura di brand pensato da una donna per le donne. I vestiti di fanno più succinti, sfacciati, quasi rock, ma sempre nel solco di una giocosità tutta femminile, fatta per piacersi, non per piacere agli uomini.

Nel 2006 lei se ne va anche lei e il brand sprofonda nuovamente in una fase di sperimentazione e incertezza. Arriva Hanna McGibbon, che porta avanti le suggestioni inglesi; poi, nel 2011, è la volta di Claire Waight Keller, la sua specialità è la maglieria che immette massicciamente nelle collezioni del brand, mantenendo l’ispirazione bohémienne e quel sapore anni ’70 ma conferendogli un’allure più maschile per una femminilità più consapevole. È grazie a queste quattro giovani designer inglesi che si definisce e stabilizza quello che è il carattere della donna di Chloe, una “it girl” ante litteram, con quella sofisticatezza parigina ma uno charme profondamente inglese. Una donna consapevole della propria sessualità, emancipata ma mai volgare, determinata ed indipendente. Nel 2014 muore la fondatrice, Gaby Aghion, Claire lascia per passare a Givenchy e per la prima volta nella storia del marchio arriva al comando una stilista francese, Natacha Ramsay-Levi. Il suo stile è molto diverso da quello del brand ma la sua forza sta nel grande lavoro che fa sugli archivi. Porta in passerella una donna più cerebrale, contamina Chloé con il mondo dell’arte e con l’attivismo femminista, ambiti valoriali che comunque erano già insiti all’origine della donna Chloe perchè Gaby frequentava i circoli intellettuali della Sinistra di Parigi. E lei a rimettere il focus sul lato più impegnato e culturale del brand e, di conseguenza, i suoi vestiti si fanno meno immediati. C’è tanto del lavoro di Karl Lagerfield nelle sue creazioni, ma anche una ventata di novità: crea una linea di t-shirt con slogan femministi, una vera rivoluzione per un brand come Chloe che non aveva mai avuto prima slogan né messaggi.

Adesso alla direzione creativa c’è un’altra donna, l’uruguaiana Gabriela Hearst. Un altro mondo, un’altra, ennesima, rivoluzione per il marchio: la stilista viene dai ranch e dalle praterie, niente a che vedere con la Parigi intellettuale di sinistra. Il destino ha voluto che arrivasse proprio in tempi di crisi climatica: grazie al suo vissuto, ha subito dato una sferzata al marchio, improntandolo fortemente verso la sostenibilità e trasformandolo in chiave ambientalista. Con le sue collezioni, Gabriela riflette problemi e necessità del tempo moderno. Gaby, ne siamo certi, sarebbe orgogliosa e avrebbe fatto lo stesso, perché ha sempre voluto rappresentare il presente. Ecco quindi che la donna Chloè di oggi è una donna che guarda al futuro, pioniera della sostenibilità, solidale nella questione femminile, attiva nel diffondere un ideale di pienezza della vita. Collezione dopo collezione, stilista dopo stilista, Chloé si è configurata come un “personaggio vivente”, l’incarnazione di uno spirito, quello multiforme della giovinezza e della femminilità nella sua evoluzione attraverso i decenni. Ripercorrere attraverso le pagine di un libro tutte le stagioni di questo marchio che hanno fatto del ready to wear un nuovo modo di vivere la moda è come leggere una grande epopea, un’avvincente storia di liberazione femminile, vibrante di energia e voglia di freschezza. Il tutto perfettamente racchiuso nella potenza di quel rosa cipria polveroso che ancora oggi è il simbolo perfetto del marchio nel mondo.

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