di Pierluca Costa*

Dopo l’articolo uscito su Il Fatto Quotidiano che descriveva il dramma delle condizioni di lavoro dei tanti medici veterinari italiani, segue la tragedia degli etologi e di tante altre figure professionali legate al mondo degli animali create dall’università italiana negli ultimi vent’anni.

Il settore della medicina veterinaria italiana è in crisi e non c’è da stupirsi. Siamo l’unico Paese europeo ad avere ben tredici dipartimenti universitari dedicati alle scienze veterinarie (la Francia, ad esempio, ne ha soltanto quattro, mentre il Regno Unito undici), con un quantitativo di lauree proclamate per ogni anno da capogiro (solo a Torino 79 nuovi laureati nell’anno 2021, dati Almalaurea): chiunque già tempo fa avrebbe maturato il timore che l’offerta di professionisti avrebbe prima o poi superato nettamente la domanda.

Questa volta a parlare non è più un nome di fantasia, ma un etologo e ricercatore libero professionista che ha fatto della sua passione innata più una missione di vita che un lavoro. Collaboro ormai da anni con i medici veterinari e io stesso nasco da un percorso di studi prevalentemente conseguito in un dipartimento di scienze veterinarie; conosco perciò piuttosto bene il settore e non posso che rammaricarmi nel constatare che molti giovani professionisti si trovino in una condizione lavorativa assolutamente inappagante e stressante, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista umano.

Non sono solo i veterinari però ad avere difficoltà nel mondo del lavoro: migliaia di neolaureati del settore zoologico sembrano non trovare una giusta collocazione lavorativa, ma il problema potrebbe essere più grande e subdolo della sola crisi economica.

Ci sono innumerevoli figure professionali legate al mondo della zoologia che se la vivono anche peggio dei veterinari: questi sono gli etologi, i naturalisti, gli zoologi e molte delle figure professionali del mondo degli animali che l’università italiana ha sponsorizzato negli ultimi anni, trascurando forse il fatto che, probabilmente, l’esigenza nel mercato del lavoro di professionisti di questo tipo fosse decisamente esigua rispetto all’offerta. Molte di queste figure non sono professionalmente riconosciute dallo Stato italiano, non vantano dei veri e propri albi professionali a difenderli né tantomeno dei sindacati rappresentativi. Quindi anch’esse sono frutto di anni di studio, anni di tasse pagate, anni di sacrifici che, troppo spesso, si trovano alla fine del percorso di studi con scarse possibilità di trovare una collocazione lavorativa. Eppure le università italiane propongono ancora un’offerta formativa molto ricca da questo punto di vista: dalle lauree in produzioni animali a quelle in evoluzione del comportamento animale, sino a giungere agli esperti in biodiversità e agli zootecnici. Cos’è dunque che non funziona?

Io conosco piuttosto bene il settore dell’etologia ed è un vero dramma. Negli anni ho conosciuto molti studenti universitari, i quali spesso dopo aver seguito le mie lezioni mi hanno contattato per tirocini o per progetti di tesi di laurea. Questi giovani non coltivano altro che i sogni nati dopo aver preso visione degli sbocchi professionali segnalati dalle università, ma la realtà è ben diversa. I dati Almalaurea pubblicati per i laureati in Evoluzione del Comportamento Animale e Umano del 2021, per esempio, ad un anno dalla laurea sono preoccupanti: il tasso di occupazione risulta solo del 37%, ma tra questi il 40% sta cercando un altro lavoro. Secondo dati Eurostat del 2019 il tasso di occupazione dei laureati italiani è generalmente solo del 62%.

Decine di aspiranti etologi studiano, quotidianamente, in varie università italiane e, finito il percorso di studi, non possono far altro che constatare di avere scarsissime possibilità di impiego, sia nel settore scientifico sia in quello della libera professione. C’è una concorrenza spietata tra mille ostacoli e tra questi anche quello normativo. Nonostante i nuovi regolamenti destinati alla gestione degli animali in ambiente domestico e naturale diventino ogni giorno più esigenti (si vedano le recenti leggi sugli animali esotici) e siano rimpinguati di termini derivati dall’etologia per riferirsi a concetti quali il benessere animale, i bisogni etologici di specie etc., stranamente non compare mai la figura dell’etologo quale figura scientifica di riferimento o come esperto al quale rivolgersi nella valutazione di tali parametri.

Eppure, le nuove conoscenze in fatto di comportamento e benessere animale, oltre che le molteplici situazioni allarmanti riguardo alla natura, richiederebbero urgentemente esperti che hanno studi specialistici unicamente in questo settore. D’altra parte, come coinvolgere un titolo che non è riconosciuto legalmente e del quale chiunque può fregiarsi a seconda delle necessità lavorative o concorsuali?

*etologo e zoologo

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