Non so se i commercialisti in quota Lega, che con molta probabilità hanno prodotto la proposta della estensione della flat tax per i lavoratori autonomi, hanno letto la relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) che accompagna la finanziaria 2023 della premier Meloni. Se lo avessero fatto, probabilmente sarebbero arrossiti per la vergogna. Avrebbero dovuto considerare la loro proposta come indecente, prima di tutto come cittadini che pagano le tasse e poi come professionisti in campo fiscale.

Come cittadini perché la nuova proposta Meloni-Salvini, di fatto, va considerata come un’evasione fiscale legalizzata. Qualcuno è autorizzato a sottrarsi ai suoi obblighi di solidarietà fiscale sotto l’ombrello di una norma ad hoc e anticostituzionale. Come professionisti, perché l’esperto deve fare sì gli interessi del cliente, ma anche quelli della collettività. Un professionista che serva il cliente contro la collettività tradisce la sua missione. È difficile sfuggire a questa impressione leggendo le molte pagine, esattamente da pag. 50 e fino a pag. 64, dedicate ad una minuziosa analisi degli effetti della nuova tassa proporzionale per il lavoro autonomo e d’impresa da parte dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Analisi ancora più preziosa perché vengono considerati, forse per la prima volta, in maniera analitica e documentata molti casi particolari.

Che cosa emerge da questa straordinaria anatomia della super flat tax del duo Meloni-Salvini? L’estensione della flat tax viene stroncata dagli esperti di finanza pubblica sotto ogni punto di vista. I problemi di equità e di gettito della flat tax degli autonomi sono ben noti e documentati, solo che con la nuova estensione assumono una dimensione senza precedenti. Per così dire sono elevati alla ennesima potenza. Si crea un’ulteriore area di super privilegio fiscale per una singola categoria di contribuenti, evidentemente molto amati dalla politica e molto influenti su di essa. Questa volta, però, si è arrivati ad un’autentica arroganza fiscale che meriterebbe un’adeguata reazione da parte di tutti.

Seguiamo con ordine le considerazioni della relazione dell’Upb. Secondo le simulazioni dell’Upb, su circa 170.000 soggetti con ricavi o compensi compresi fra 65.000 e 85.000 euro (il 5 per cento dei professionisti e delle imprese individuali), quelli che rispettano tutti i requisiti di legge e trarrebbero vantaggio dall’ingresso nel regime forfettario sono circa 60.000. Sarebbe interessante a questo punto avere anche la lista dei nominativi di questi contribuenti iper fortunati. Il tasso di adesione previsto non è affatto omogeneo, risultando decisamente più alto fra i professionisti (58,7 per cento) che fra le imprese (22,5 per cento). Quindi la flat tax Meloni-Salvini è pensata essenzialmente per alleggerire le tasse dei professionisti benestanti.

Veniano ora al quantum, cioè alla stima del beneficio medio per ognuno dei 60.000 contribuenti interessati, che è notevole perché deriva da più fonti. La riduzione di tasse media per i nuovi soggetti aderenti al regime forfettario è pari a circa 7.700 euro all’anno, più di 600 euro al mese. Di questi, la parte principale, 5.900 euro, derivano dal passaggio dall’Irpef alla tassazione piatta del 15%. Altri 1.050 euro derivano dalla riduzione dei contributi sociali. Infine un’ultima quota di riduzione delle tasse, circa 750 euro, deriva dall’Iva non più pagata. Inoltre, oltre a pagare molto meno rispetto ad un lavoratore dipendente con eguale reddito, si crea anche un’ulteriore differenza tra le categorie dei lavoratori autonomi: i professionisti guadagnano in media circa 9.600 euro, con un 25% di loro ottiene un beneficio superiore a 13.264 euro. In definitiva, questo meccanismo fiscale regala ad un professionista su quattro che passa al nuovo sistema più di mille euro netti al mese. Difficilmente i 60.000 fortunati potevano sperare di più.

Le conclusioni del rapporto dell’Upb sono notevoli e conviene riportarle per intero. “Nel complesso, l’estensione del regime forfettario coinvolge un numero piuttosto limitato di contribuenti, ma pone comunque problemi di equità all’interno della stessa categoria dei lavoratori autonomi, che vengono sottoposti a un trattamento eterogeneo non giustificato da ragioni di capacità contributiva. Quando il reddito è determinato forfettariamente, infatti, emergono distorsioni trascurabili se i soggetti coinvolti hanno dimensioni ridotte, che diventano rilevanti man mano che i volumi d’affari aumentano. Inoltre, la coesistenza del regime forfettario e di quello dell’Irpef, al quale continuano a essere sottoposti dipendenti e pensionati, genera squilibri sulla base dei principi di equità orizzontale del prelievo. Si tenga presente, infatti, che i criteri impliciti derivanti dall’applicazione del regime determinano una selezione tale per cui i soggetti che aderiscono appartengono per oltre il 77 per cento al 10 per cento dei contribuenti con reddito da lavoro più elevato. Ciò significa che l’ulteriore estensione del regime coinvolge oggi prevalentemente i contribuenti più ricchi. Per questi soggetti il guadagno rispetto alla imposta progressiva è generalmente molto elevato: la metà di essi risparmia più di 7.500 euro di Irpef e un quarto più di 9.500”.

La prosa della relazione dell’Upb è asettica, come si conviene in un rapporto di valutazione, ma il colpo è micidiale. La super flat tax della Premier Meloni per gli autonomi, in sostanza, è molto più indecente della precedente. Finanziata completamente in disavanzo, stimato per difetto in 440 milioni, limitata a poche migliaia di contribuenti ricchi, 60.000, non ha nessuna giustificazione né sul piano economico, né su quello fiscale e soprattutto non ne ha sul piano etico dell’equità fiscale. La relazione dell’Upb, in un paese normale, sarebbe la sua pietra tombale e la condanna arriverebbe netta e senza appello da tutta la classe politica.

Nel lontano 1982, commentando le dichiarazioni dei redditi di alcune categorie di contribuenti il ministro Bruno Visentini disse che “l’evasione fiscale era un vero schifo”. Ora c’è qualcuno che vuol contrabbandare questo “vero schifo”, la possibilità di non pagare le tasse per contribuenti abbienti, come una nuova normalità attraverso un menù indecente di varie tasse piatte. Forse questa nuova stagione di provvedimenti fiscali a favore dei più ricchi rivendicata a gran voce dalla destra italiana non si può fermare, almeno per ora, ma si può certo denunciare come il principale virus del nostro sistema fiscale.

Da ultimo, c’è da chiedersi perché il governo delle destre voglia fare questa indecente figura per accontentare appena 60.000 contribuenti facoltosi, a questo punto autentici piranhas del nostro sistema fiscale.

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