La strage consumatasi nella periferia di Roma ad opera di Claudio Campiti testimonia quanto l’odio di natura paranoica sia un Golem dormiente. Capace di vivere silente per molto tempo nei meandri interrati dell’animo umano sino a che una sciagurata contingenza di cadute, fratture e inciampi della vita lo destano dal sonno, dando forma a passaggi all’atto di natura omicida che lasciano interdetta l’opinione pubblica, incapace di scorgere i segnali premonitori di quel fumo persecutorio e oppressivo che nel tempo si solidifica nell’animo di questi individui, sino a tramutarsi in un comando ultimativo a sbarazzarsi dei propri ‘nemici’. Sovente uomini e donne con i quali vi sono stati dissapori, assurti a demoni assoluti, depositari delle responsabilità di patimenti subiti, lutti o sdruciture della propria esistenza.

E’ dal tempo della crisi economica che chi opera nel campo delle psiche umana ha assistito ad un incremento abnorme di turbe persecutorie con ideazioni omicide nella maggior parte dei casi solo ipotizzate e, fortunatamente, solo in poche occasioni portate all’atto. La pentola dell’odio è coperta da abiti spesso ‘normali’, socialmente accettati, venati tutt’al più da qualche comportamento malmostoso o aggressivo. Pentola che, specie dopo la crisi economica, abbiamo visto esplodere in modo violento prendendo le fattezze di chi uccide un carabiniere davanti a Montecitorio, un’impiegata della Regione, un qualsiasi funzionario di un qualche sperduto ufficio. Chi per una minaccia di licenziamento, chi per un finanziamento negato, chi per una separazione non elaborata.

Dai resoconti sommari che possiamo trovare in rete sono diverse le travi cadute sulla vita di quest’uomo (elemento che motiva clinicamente e non giustifica certo l’accaduto), prima fra tutte la perdita del figlio, alla quale si sono progressivamente assommate altre tegole tra cui la perdita del lavoro (c’è chi mi consiglia di trovarmi un lavoro dopo che lo Stato il lavoro me lo ha tolto, scriveva nei sui blog) conducendolo ad un‘esistenza marginale nel buio della quale i nemici immaginari hanno preso forma solida. Campiti esemplifica bene il declino di vite che hanno perso nel tempo quei punti di tenuta che, per soggetti con strutture psicotiche non scatenate, fanno vacillare di colpo il punto di equilibrio. Vedendo così concretizzarsi fantasmi persecutori i quali armano le loro mani sino a passaggi all’atto violento, colpendo nei vicini di casa, nei passanti, nella folle o nei condomini quell’altro reo di avergli strappato il tappeto da sotto i piedi, lasciandoli cadere nel vuoto.

La furia paranoica deflagra nel momento in cui cedono le protezioni che sino a quel momento avevano tenuto la situazione stabilizzata: il figlio perso, il lavoro. La sua tendenza coattiva alla denuncia, le liste di ‘colpevoli’ messe nel suo blog, quel ‘buio’ nel quale si spara meglio. Chiari allarmi che in quella mente si era sciolta quella colla capace di tenere assieme una personalità fragile e pericolosa, slatentizzando la psicosi sottostante.

Questo uomo aveva pianificato una strage. Dentro di lui viveva questa furia omicida coltivata e covata in anni di rancore e risentimento plumbeo annidato e forse malcelato da frasi cadute nel dire comune che spesso siamo soliti sentire (“in quel luogo ce l’hanno con me”, “i miei vicini mi odiano”). Frasi che, solo a posteriori, possiamo vedere come punta d’iceberg di una convinzione profonda che, portata allo scoperto come il nocciolo di una centrale nucleare, ha eruttato in tutta la sua ferocia.

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