Una mossa quasi obbligata. Con il bilancio da approvare e la procura di Torino che a breve dovrà decidere il da farsi sull’inchiesta per i presunti falsi in bilancio e l’aggiotaggio telematico che coinvolge i vertici della società. Si spiega così la decisione di Andrea Agnelli e degli altri componenti del Consiglio di amministrazione della Juventus di dimettersi.

Una decisione tardiva, visto che l’imbuto temporale tra assemblea degli azionisti e inchiesta era scritto da settimane. Hanno provato a guadagnare tempo, spostando due volte l’appuntamento con l’approvazione dei conti chiusi a giugno 2022, sui quali sono piovuti i rilievi di Deloitte e della Consob, ma era difficile immaginare un epilogo diverso da questo.

Anche perché, in ipotesi, l’approvazione di un bilancio senza correzioni avrebbe potuto portare la procura di Torino ad allargare l’inchiesta e a richiedere nuovamente le misure cautelari, respinte una prima volta dal giudice per le indagini preliminari, facendo perno sulla reiterazione del reato. Allo stesso tempo, correggere i conti come si è deciso durante la riunione alla Continassa e rimanere in sella avrebbe avuto altri risvolti, non giudiziari ma di “credibilità” dopo che tutto il management bianconero ha legittimamente rivendicato il proprio operato andando allo scontro con la Consob e con la procura, non condividendo nemmeno i rilievi del revisore dei conti.

Con la possibilità concreta inoltre che, nel giro di qualche settimana o al massimo mese, i magistrati, ormai chiuse le indagini, optino per la richiesta di rinvio a giudizio per Agnelli&co. Un fardello pesante che avrebbe sovraesposto mediaticamente la Juventus, oltretutto in un momento di discovery degli atti d’indagine. Accertamenti lunghi, in parte già noti, con la Guardia di finanza che ha sequestrato numeroso materiale – basti ricordare il “libro nero” del ds Federico Cherubini sul modus operandi del suo predecessore Fabio Partici – e che, soprattutto, ha intercettato le utenze di diverse dirigenti.

Ferma restando la presunzione di innocenza e la volontà di difendersi dei membri del Cda, ribadita ancora con forza nel comunicato in cui hanno annunciato il passo indietro, sono questi i principali motivi dietro la decisione senza precedenti in casa juventina maturata nelle scorse ore. Con la precisazione di Daniela Marilungo, consigliere indipendente e membro del “Comitato Controllo e Rischi” che ha motivato le dimissioni sostenendo “l’impossibilità di esercitare il proprio mandato con la dovuta serenità e indipendenza” anche perché ha ritenuto “di non essere stata messa nella posizione di poter pienamente ‘agire informata’ a fronte di temi di sicura complessità”.

Una scelta clamorosa, Marilungo a parte, ma per certi versi attesa di fronte ad accuse il cui quadro indiziario andrà a delinearsi a breve. La fine di un’era iniziata 12 anni fa, costellata da 9 scudetti e due finali di Champions, che sembrava aver aggiunto benzina per il salto definitivo grazie all’acquisto di Cristiano Ronaldo. E invece proprio lì è iniziata la torsione, un avvitamento pericoloso: costi cresciuti, risultati sperati rimasti nel cassetto, poi la mazzata del Covid con ricavi in retromarcia e la necessità per la proprietà di versare 700 milioni di euro.

Per la procura c’era anche altro a sostenere i conti: le operazioni a specchio, le “manovre stipendi” con tutti i reati che ne sarebbero scaturiti. Per dirla con le parole del ds Cherubini, recuperate dai finanzieri in un appunto, plusvalenze “artificiali” che portano “beneficio immediato” e “carico ammortamenti”. E un “piano recupero bilancio disastroso”. Adesso toccherà alla nuova dirigenza di stampo Elkann, inaugurata con il direttore generale Maurizio Scanavino, tenere a bada i saldi provando a salvaguardare il lato sportivo. Nel prossimo futuro, anche in casa bianconera, non conterà solo vincere.

Twitter: @andtundo

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