Le misure finanziate nel 2022 dal governo Draghi hanno ridotto la disuguaglianza e il rischio di povertà in Italia. Parola dell’Istat, che ha utilizzato un modello di microsimulazione per stimare l’effetto dei principali interventi sui redditi familiari messi in campo nel corso dell’anno. Ma il rapporto La redistribuzione del reddito in Italia pubblicato mercoledì, a guardar bene i numeri, fa diversi distinguo. Se l’assegno unico per le famiglie con figli – misura approvata durante il governo Conte – ha in media ridotto il rischio povertà di 1,4 punti (da 18,6 a 17,2), per alcune tipologie di famiglie ha determinato “un peggioramento dei redditi” con perdite di oltre 750 euro medi per i nuclei più poveri. Non solo: a colpire è soprattutto il fatto che il ridisegno delle aliquote e degli scaglioni Irpef risulta addirittura aumentare il rischio di povertà di 0,2 punti. Fortuna che poi sono arrivate misure temporanee – i bonus di 200 e 150 euro, l’anticipo all’ultimo trimestre dell’anno della rivalutazione delle pensioni – che hanno fatto calare il rischio di 0,6 punti.

La stima dell’impatto complessivo come detto è lusinghiera: l’indice di Gini è sceso dal 30,4 al 29,6% (su una scala da 1 a 100 dove 100 esprime la massima disuguaglianza), il rischio di povertà dal 18,6% al 16,8% e il poverty gap (intensità della povertà) da 5,2 a 4,4. Ma i benefici non sono stati per tutti: se riforma Irpef, assegno unico, bonus e indicizzazione delle pensioni hanno “ridotto il rischio di povertà per le famiglie con figli minori, sia coppie (-4,3 punti), sia monogenitori (-4,2), soprattutto in seguito all’introduzione dell’assegno unico” e “per le famiglie monocomponenti (-2,1) e per gli ultrasessantacinquenni soli (-1,3) la riduzione è dovuta prevalentemente ai bonus e all’anticipo della rivalutazione delle pensioni”, al contrario “per le famiglie senza figli o solo con figli adulti il rischio di povertà rimane quasi invariato o aumenta lievemente“.

L’assegno unico ha meritoriamente ridotto il rischio di povertà di 3,8 punti percentuali per i giovani da 0 a 14 anni e di 2,5 per quelli da 15 a 24 anni, ma la contestuale abolizione delle detrazioni per figli a carico nell’ambito della riforma Irpef ha determinato perdite “che vengono compensate dall’assegno solo per una parte delle famiglie”, nota l’istituto di statistica. Il beneficio medio dell’assegno è stimato in circa 143 euro mensili “per le famiglie che migliorano la propria situazione economica”, con importi medi più elevati non per i più poveri ma nel secondo (2.085 euro) e terzo quinto di reddito (1.949 euro). Per il sottoinsieme di nuclei che ne escono svantaggiati rispetto a prima, la perdita media è di circa 50 euro mensili. “La perdita più elevata si ha nei due quinti più ricchi (rispettivamente 887 e 951 euro) e in quello più povero (752 euro)”. Non solo: “La percentuale maggiore di famiglie svantaggiate dalla misura e la maggiore quota di perdita sul totale si concentrano nei primi due quinti; la perdita, in rapporto al reddito familiare, è più elevata nel primo quinto. Si tratta di casi in cui l’assegno per il nucleo familiare aveva un importo maggiore del nuovo assegno unico”.

E la riforma dell’Irpef? “Ha dato luogo a una diminuzione delle aliquote medie effettive pari all’1,5% per l’intera popolazione”, ricorda Istat, “con riduzioni più accentuate nei tre quinti di famiglie con redditi medi e medio-alti”. Fra le famiglie che migliorano la propria situazione, che sono il 65% del totale, “il beneficio medio risulta meno elevato nel quinto più povero della popolazione, caratterizzato dalla presenza di contribuenti con redditi inferiori alla soglia della no-tax area, esenti da imposta”. Le famiglie del penultimo quinto assorbono il 31,7% del beneficio totale. Ma ben il 21,8% delle famiglie, una su cinque, per effetto della riforma vede peggiorare la propria situazione. Le perdite medie vanno dai 620 euro del primo quinto di reddito ai 1.319 dell’ultimo: nel quinto più ricco della popolazione si registra oltre la metà della perdita totale.

Anche l’anticipo della rivalutazione delle pensioni ha portato i maggiori benefici ai redditi medio alti: “Il beneficio è più elevato nel terzo e nel penultimo quinto (rispettivamente 128 e 140 euro), dove si concentra più del 26% del beneficio totale”. Da notare che l’intera analisi, come segnalato dall’Istat stesso, tiene conto solo in parte degli impatti dell’inflazione, che sono maggiori per chi ha redditi più bassi. E fa solo immaginare che cosa accadrà l’anno prossimo, in assenza dei bonus una tantum.

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