di Stefania Rotondo

“Ma qualcuno a Washington e Bruxelles dice a Zelensky dove si deve fermare?”.

Se lo è chiesto Milena Gabanelli l’8 ottobre scorso a poche ore dall’esplosione del ponte di Crimea. Kiev non ha mai smentito l’atto di sabotaggio. Qualche giorno fa Volodymyr Zelensky, a margine del primo vertice parlamentare ‘Crimea International Platform’, non solo ha ribadito che ‘la Crimea sarà liberata e riportata nello spazio europeo’, ma ha anche alzato la posta, proponendo una piattaforma per la liberazione della Transnistria e dell’Abkhazia, regioni separatiste di Moldova e Georgia. ‘La liberazione della penisola significherà la rinascita di una vera pace’. Tradotto: la Crimea, punto di forza di Putin, potrà essere l’umiliazione che segnerebbe il futuro dello zar e del suo regime.

La Crimea, occupata dal 2014, è terra sia strategica sia simbolo per i russi. Strategica, perché base navale fondamentale per attaccare dal mare il sud dell’Ucraina, per l’accesso al Mar Nero e perché possederla significa influenzare l’Europa orientale e il Caucaso. Simbolo, perché terra ritornata alla Madre Russia, dopo quasi settanta anni dal ‘regalo’ che Nikita Chruščëv fece agli ucraini per ricompensarli del frumento che aveva nutrito l’Unione Sovietica durate la guerra e per scusarsi per l’Holodomor degli anni Trenta. Ed è proprio in Crimea che si vuole umiliare l’orso.

Quando l’ammiraglia della flotta russa, la Moskva, fu colpita da un missile ucraino ad aprile nel Mar Nero, fu trainata dai russi verso Sebastopoli per poi vedersela inabissare prima di arrivare al porto. Qualche mese dopo fu dunque la volta del ponte simbolo della riunificazione tra la penisola e la Federazione Russa inaugurato personalmente da Vladimir Putin. Da quell’8 ottobre i missili e i droni russi hanno colpito direttamente il centro di Kiev. L’ultima puntata, quella di sabato scorso: l’attacco con droni marini e aerei alla flotta russa ancorata nella sua base principale di Crimea: quattro navi danneggiate. Il Cremlino accusa ucraini e britannici del blitz e risponde con un nuovo blocco dell’export sul grano – poi rimosso – tornando a puntare sulla fame nel mondo. L’unico accordo raggiunto faticosamente in otto mesi di guerra in Ucraina è saltato.

La Crimea è un vicolo cieco. In e per essa si blocca qualsiasi negoziato. Danneggiare la flotta navale significa sottolineare la debolezza dei russi nella terra simbolo. È un fatto che la Crimea nelle ultime settimane sia sotto attacco. Riconquistarla significherebbe per gli ucraini poter puntare a riprendersi tutta la loro terra. E questo sì, per l’orso sarebbe un’umiliazione. Secondo fonti del New York Times, l’amministrazione oltreoceano sta prendendo le distanze da alcuni atti ucraini, a dimostrazione di un’evidente perdita di controllo su un personaggio, Zelensky, creato e armato dagli Usa e dai suoi sottoposti per interessi geopolitici.

Atti non controllati di Kiev potrebbero portare a conseguenze imprevedibili nel conflitto. L’utilizzo da parte di Putin di bombe tattiche nucleari è un pericolo crescente. Lo chiede a gran voce il leader ceceno Ramzan Kadyrov per cui la gestione dell’invasione russa è stata pessima. E intanto tutto il mondo si sta abituando all’idea di un passo falso di Putin.

La pace si fa con i nemici e le mediazioni prevedono cessioni da entrambe le parti. In molti chiedono un cessate il fuoco e un tavolo di trattative, perché se la soluzione è solo militare sarà guerra totale. Chissà se le azioni ucraine come l’uccisione di Dar’ja Dugina, la messa al bando di tutti i partiti d’opposizione, le richieste incessanti di entrare in Ue e Nato, la pretesa che l’Ue rinunciasse al gas russo incassando i diritti di transito del gasdotto, la firma di un decreto per il divieto di negoziati con Putin abbiano fatto capire a noi europei che gli interessi di Usa e Ucraina sono convergenti.

E da noi i benpensanti dicono sì ai morti, purché non siano i nostri. Ma sì, va bè, tanto l’Ucraina colpita ‘tatticamente’ da un’atomica è lontana duemila chilometri.

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