Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Nelle sue comunicazioni ufficiali la prima donna capo del governo usa il maschile per indicare il proprio incarico. Scelta che per la verità conferma quella già fatta in relazione al precedente ruolo di presidente di Fratelli d’Italia, sempre indicato anch’esso con l’articolo “il”. E che però non ha convinto l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico, che in una nota parla di “pericoloso arretramento”. “L’avvocato, l’avvocata. Il presidente, la presidente. Mentre l’Italia si sta faticosamente adeguando agli standard europei sull’uso del femminile negli incarichi pubblici e nelle professioni – come dimostra anche la recente scelta della Treccani, che segue le indicazioni già fornite dall’Accademia della Crusca – in molte testate della Rai stiamo assistendo ad un pericoloso arretramento”, si legge.

Una presa di posizione ispirata da quanto accaduto negli ultimi giorni: nel comunicato si ricorda, infatti, che le direzioni di reti e telegiornali “stanno chiedendo alle colleghe e ai colleghi di usare il maschile per indicare il nuovo incarico di Giorgia Meloni, perché è lei a chiederlo. Ferma restando la libertà di ogni persona di denominarsi come meglio crede, altra cosa è il racconto giornalistico. Ricordiamo che il contratto Rai Usigrai contiene al proprio interno il manifesto di Venezia che fa preciso riferimento al linguaggio di genere, e che la policy di genere aziendale, recentemente approvata dal consiglio di amministrazione della Rai, indica di usare il femminile lì dove esista. Nessun collega può essere dunque obbligato ad usare il maschile”, conclude la nota, “anzi i giornalisti Rai sono tenuti a declinare al femminile i nomi. Ordini di servizio o indicazioni in senso contrario verranno contestati dal sindacato nelle sedi opportune. Chiediamo alle colleghe e ai colleghi di segnalarci eventuali violazioni”. Ma c’è anche chi all’interno dello stesso esecutivo Usigrai si dissocia: “Io continuerò a chiamare Giorgia Meloni il presidente del Consiglio, e infatti ho votato contro questo comunicato”, dice Incoronata Boccia, giornalista e conduttrice. “In punta di diritto l’Usigrai ha le sue ragioni, ma trovo che questa sia una forzatura. Secondo me la scelta di Meloni è una scelta politica, lontana dai femminismi di maniera. Il linguaggio di genere dev’essere una scelta, non un obbligo, e ci sono tanti giornalisti che come me sceglieranno di chiamarla il presidente per rispetto della sua scelta politica”.

“I titoli al femminile sono legittimi sempre; chi usa questi femminili accetta un processo storico ormai ben avviato. Chi invece preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo”, è invece il commento “tecnico” di Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, all’AdnKronos. “Alcune donne non si riconoscono nelle scelte linguistiche della tradizione femminista di marca anglosassone e ribadiscono la propria diversità attraverso scelte alternative di immediata evidenza”, spiega ricordando il precedente di Maria Elisabetta Alberti Casellati alla presidenza del Senato. “In questo modo mettono in luce il valore ideologico delle opzioni linguistiche sul genere (le proprie, ma indirettamente anche quelle avverse). Sarebbe riduttivo giudicare tutto questo come una semplice questione grammaticale, perché non lo è affatto”.

Molto critica nei confronti della decisione di Meloni è invece la scrittrice sarda Michela Murgia: “Bisognerebbe chiederle per quale motivo ce l’ha con la lingua italiana. Perché “il presidente” ha il suo femminile che è “la presidente”, quindi non è che si può arbitrariamente decidere quale parte della grammatica italiana rispettare e quale parte no. Quindi non è questione di femminismo, è questione di parlare la nostra lingua. I giornalisti Rai giustamente vogliono scrivere in italiano”, affonda. E aggiunge: “Dal punto di vista simbolico lei, che pretende l’articolo maschile, sta dicendo “io governerò come un maschio”. E questo credo sia la migliore risposta possibile a chi gioisce per una donna al potere. Non è il sesso di chi comanda che conta, è il modello di potere che si ricopre. Il modello di potere di Giorgia Meloni è quello maschilista al maschile”, conclude.

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