Si dice che l’autunno sia la stagione più calda della politica. Quello che stiamo vivendo non fa eccezione, visto che si è anche aggiunto l’insediamento del governo Meloni la scorsa domenica. Anche nelle Università di tutta Italia è tempo di eleggere i propri rappresentanti e il processo democratico funziona con regolari candidature ed elezioni. Ginevra, studentessa di Psicologia alla Sapienza di Roma, non ha potuto candidarsi; o meglio, per farlo avrebbe dovuto utilizzare i suoi dati anagrafici, quelli al maschile, che non corrispondono alla sua identità e nemmeno alla sua carriera in ateneo. Infatti, Ginevra dallo scorso anno ha potuto attivare la cosiddetta carriera alias e svolgere il suo percorso universitario con maggiore serenità.

Non avendo ancora ottenuto il cambio di nome anche sulla Carta d’Identità, purtroppo, Ginevra ha preferito non partecipare alla corsa come rappresentante dei suoi colleghi (della sua vicenda ha scritto Fanpage.it).

Negli stessi momenti, Giorgia Meloni fa sapere che vuole essere chiamata “Il presidente” e non “la presidente”, come invece vorrebbe la declinazione esistente nella lingua italiana. Solo in questo caso Meloni vuole usare il maschile, per il resto i suoi pronomi restano gli stessi: LA mamma, non il mammo, la sorella, la moglie… Nessuno grida al potere della teoria gender, nessuno si allarma per questo doppio binario, anzi. Triste che i femminili professionali vengano ancora considerati una questione ideologica (cara solo a una certa sinistra), esattamente come è triste che i pronomi di Ginevra vengano considerati una questione ideologica e non un principio, la libertà di essere sé stessa. Una preferenza, per l’una, il diritto di esistere, per l’altra.

Il problema è decennale: si crede che declinare la professione al maschile conferisca maggiore status, un merito particolare. Come a dire “nonostante tu sia donna, ti concediamo l’onore di essere chiamata IL presidente”, “hai fatto tutti gli sforzi necessari per arrivare dove sei, ora sei una di noi”. Il privilegio di arrivarci – però – a ricoprire quella carica, Meloni se l’è guadagnato proprio perpetuando quel sistema di valori machista tanto caro alle destre: la famiglia tradizionale, il contrasto all’aborto e all’autodeterminazione, la difesa dei confini della patria e via dicendo.

Il posto da prima donna Presidente del Consiglio, quindi, porta con sé una clausola: vai bene solo se ti comporti come un uomo, se sei IL presidente, se fai gli interessi del patriarcato. E Meloni li farà, su questo non ha mai lasciato spazio a dubbi.

“Dovreste essere contente” – ci dicono – “finalmente una donna al potere”. Sarà, eppure io, a conti fatti, un presidente avevo e un presidente ho.

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