La realtà, in questo caso, supera di gran lunga la fantasia. Non ci credete? E allora provate a dire chi avrebbe mai scommesso di ritrovare un giorno sullo stesso palco Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni. Cioè, insieme! E sapete cosa vuole dire ciò? Ma che i due, “non sono più litigati”!

Succederà a Parma, il duo si ritroverà sul palco del Cinema Astra, lunedì 24 ottobre alle ore 21. Fate attenzione, non si ritroveranno intorno ad una presentazione di un libro come è successo a Roma in luglio e nemmeno per suonare. L’incontro avverrà dinnanzi “la propria memoria”, pronta per essere svelata, entro un magico rendez-vous condotto dal giornalista e amico del duo, Michele Rossi. Se non avete prenotato il biglietto, non affrettatevi, l’incontro è andato sold-out dopo una sola settimana dall’uscita della notizia, tanto da far risultare febbrile l’attesa da parte dei fans; infinite le liste di attesa di persone “disposte a decollarsi” per l’agognato ticket.

A scanso di equivoci, si ribadisce che non si tratterà di un concerto, bensì di un dialogo sulle incarnazioni musicali a loro connesse: Cccp e C.S.I: ça va sans dire.

Un evento inserito all’interno di “Curami”, XVI edizione del Festival Il Rumore del Lutto (Qui Il programma). Li ho incontrati qualche giorno prima della data.

Eccovi il resoconto della nostra chiacchierata.

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A Roma di recente avete presentato insieme la ristampa de Il Libretto Rozzo dei Cccp e Csi (ed. Gog). Ma ora, il dialogo condotto dal giornalista Michele Rossi, sul Palco del Cinema Astra di Parma potrebbe rivelare molto altro. Alla vigilia di questo incontro che sensazioni provate?

Zamboni: In effetti, in questo caso, non c’è un pretesto formale come la presentazione di un libro, per quanto sentimentale possa essere ritrovarsi a parlare del nostro scrivere. Questa volta c’è una libertà, una libera scelta nel ritrovarsi e raccontarsi che non è un raccontarsi al pubblico perché sotterraneamente è anche raccontare tra di noi quello che è circolato nelle nostre vite, nei nostri pensieri negli ultimi vent’anni.

Ferretti: Non saprei dirti quello che provo riguardo a cosa succederà a Parma ma so che vivrò quel momento in piena serenità; ritrovarsi sul palco di Roma è stato bellissimo perché quella simbiosi l’abbiamo magicamente rinvenuta sin dal primo momento, azzerando come d’incanto tutti gli anni in cui siamo rimasti lontani. Con Massimo eravamo una entità unica e anche abbastanza prodigiosa, esisteva una simbiosi che non è che distruggesse le personalità, anzi le potenziava.

Andiamo al sodo: si può quindi dire che vi siate ritrovati?

Zamboni: Continuo a pensare di non aver mai avuto una separazione vera e propria con Giovanni, se non a livello fisico. C’è sempre stato un tenersi presenti a vicenda molto intenso. Io credo che sia Lui, che in precedenza i Cccp e poi i Csi, siano stati degli ottimi arbitri per il mio agire artistico; difficilmente mi viene in mente di elaborare qualcosa senza tenere conto di un loro possibile giudizio ma non perché ne sia schiavo, è solo una accettazione piena di una visione impostata oltre quarant’anni fa, dalla quale mi sento non soltanto protetto ma anche spinto e fortificato nell’andare avanti.

Ferretti: Dopo esserci incontrati a Roma abbiamo deciso di rivederci qui a casa mia per una intervista con tutti i Cccp. L’occasione ci è stata fornita da questi cineasti bolognesi bravissimi che stanno provando a ricostruire la cosiddetta “Campagna di Russia” (nel marzo del 1989 i Cccp, i Litfiba, i Rats e i Mista & Missis suonarono a Mosca). Ebbene rivedersi è stata una sorpresa incredibile, ne è uscita una chiacchierata strepitosa, trentatré anni (gli anni passati dall’ultima volta insieme) azzerati in un attimo, come se ci fossimo visti la sera prima per un concerto.

Dopo aver realizzato che tornerete su un palco insieme, seppur solo per dialogare, la questione che si pone successiva è una soltanto: quanto tornerete insieme a suonare?

Zamboni: In questo momento un futuro di questo tipo non esiste, semplicemente per il fatto che non lo sentiamo come un obbligo, considerando peraltro l’età avanzata di entrambi (sorride). Ritrovare sul palco Giovanni, davanti ad una platea, oltre ad essere un gran beneficio per il morale e per la salute credo abbia il risvolto di mostrare la possibilità di chiudere dei cerchi, non soltanto riaprirli; anche solo riconsiderare assieme dopo tanti anni quello che è stato fatto, credo sia un esercizio assolutamente salutare, poi, nessuno sa cosa succederà, anche questo va detto.

Ferretti: Eravamo una cellula dormiente e serviva qualcosa per risvegliarla (sorride). Ora si tratta di capire come sarà il risveglio perché a volte una cellula si sveglia per morire immediatamente in pace (risata generale), quel che sappiamo al momento è che, qualcosa sta succedendo, ed è tutto molto bello. Non so cosa succederà, in ogni caso è bello morire vivi, sarebbe stato triste passare dal coma alla morte, molto meglio passare dalla vita alla morte.

E visto che si parlerà della vostra vita proviamo a recuperarne un tratto. L’evento che vi vedrà protagonisti è titolato “Siamo arrivati tardi o forse troppo presto”…

Zamboni: Al tempo del nostro esordio, abbiamo messo per statuto che suonare era un caso, avremmo potuto fare dei film, scrivere dei libri, pensare alla fotografia, viaggiare… si è scelta la musica perché forse era tecnicamente la disciplina più facile, senza immaginare minimamente quanto poi quelle canzoni ci avrebbero segnato. Suonare era per noi un pretesto; oggi siamo un po’ tutti stupiti del valore di quelle canzoni, non soltanto per i testi o per quello che esprimono, alla fine abbiamo riscoperto che posseggono anche un valore musicale non indifferente.

Ferretti: I Cccp hanno passato il primo periodo evitando volutamente di registrare dei dischi. Alcune canzoni, come ad esempio “Siamo Arrivati troppo tardi o forse troppo presto” non è mai stata incisa; ci piaceva pensare che le persone avrebbero potuto ascoltarla solamente dal vivo. Detto ciò, abbiamo passato un intero anno a suonare senza pubblicare dischi. È stata la Attack Punk Record a convincerci a registrare il primo singolo (Ortodossia).

I Cccp, la new Wave; erano gli anni 80.

Ferretti: Quando sono nati i Cccp, ero un fruitore compulsivo di musica, ho visto tutti i concerti possibili di quel periodo, mi vengono in mente, ad esempio, i Bauhaus…

Come molte band di epoca New Wave, a noi, sul palco, mancava la batteria. Per ovviare a tale mancanza, in parte, ci sembrò un’idea strepitosa portare sul palco un uomo che si denudasse (Fatur, l’artista del popolo) e una donna che si vestisse (Annarella, emerita soubrette). Arrivavamo nei luoghi dei concerti con la macchina del padre di Massimo colma di strumenti, ergo Annarella e Fatur ci raggiungevano in autostop, una volta anche per un live a Barcellona. La storia dei Cccp, da lì in poi, si sviluppò enormemente, all’inizio, Annarella portava con sé una piccola valigetta con quattro vestiti dentro per i suoi cambi, ma nel tempo la cosa crebbe a dismisura; nell’ultima tournée dei Cccp soltanto i cappelli che poi utilizzava sul palco, occupavano bauli pieni, Fatur invece si portava appresso totem e pezzi di trattori.

Ma venne anche il tempo della fine dei Cccp. Chi li aveva amati era conscio del fatto di aver partecipato consapevolmente a una terapia di gruppo (cit. Alberto Campo).

Ferretti: Penso di poter rispondere anche per Massimo se affermo che nella nostra vita e probabilmente in quella di molte persone, i Cccp sono stati una esperienza abnorme; eravamo un band ma in verità era quello un teatro primitivo, stralunato ma comunque un teatro; a quel tempo più che le sonorità, privilegiavo personalmente le parole. La fine, inutile dirlo, fu dolorosa ma nell’ordine delle cose, la storia dei Cccp era arrivata alla sua naturale conclusione.

Zamboni: Eravamo davvero un teatro stralunato ma nulla era lasciato al caso, i Cccp, nel loro delirio, si prendevano tremendamente sul serio.

Gli anni 90 sono stati caratterizzati da un deciso cambio di rotta, insieme alla musica mutano gli scenari geografici e mentali; non più Berlino, l’Unione Sovietica e l’Islam bensì la Bretagna, l’Ex Jugoslavia, la Mongolia…

Zamboni: Da un punto di vista musicale i CSI segnarono un periodo fondamentale delle nostre vite e credo non soltanto delle nostre. A cominciare dal nome e proseguendo con i musicisti che poi arrivarono nella band. Fu un ingresso trionfabile nel mondo della musica. In musica, mettemmo tutto il nostro sentire, non c’era niente che ci potesse tenere legati se non le nostre canzoni, le quali si avvalsero liberamente di quello che sentivamo in quel periodo.

Ferretti: Sia io che Massimo, una volta terminata l’esperienza dei Cccp, abbiamo potuto permetterci di accettare quella che era a quel tempo una nuova possibilità. Certo, con l’arrivo di Maroccolo, Magnelli e Canali, era arrivata la musica. Da qui in avanti saremmo stati un vero e proprio gruppo musicale, nel mentre era anche cambiato il mondo. Già il fatto che da quel momento cominciammo a chiamarci CSI, non fu esattamente una nostra decisione, lo decise il mondo! È stato Gorbaciov a decidere che la Cccp non ci sarebbe stata più, in favore della confederazione degli stati indipendenti. A Prato dentro un camerino, ci rendemmo conto che quello era il nostro nome: “Ci chiameremo C.S.I, tuonammo”.

Arrivate sul palco di Parma, sospinti da un trasporto emotivo incredibile. Il Cinema Astra è andato sold out nel giro di qualche giorno. Ferretti e Zamboni si inseriscono però all’interno di un festival decisamente unico, il Rumore del Lutto. Come mai avete deciso di accettare?

Ferretti: Sono nato tra i morti in montagna e vivo tutt’ora tra i morti. Premetto, è praticamente impossibile coinvolgermi in qualunque progetto ma questa rassegna mi ha incuriosito, me ne ha parlato Massimo; mi piacciono i progetti inusuali, scegliere la strada più difficile può regalare soddisfazioni. Inoltre, ho scoperto che il tema di questa edizione era “Curami” (canzone manifesto dei Cccp). Mi è sembrato a quel punto naturale accettare l’invito».

Zamboni: Dopo Roma non era in progetto nessun altro incontro ma dopo si è creata la possibilità di partecipare a questo Festival al quale sono legato, avendoci partecipato in passato. Personalmente, a livello artistico dedico una larga parte del mio lavoro a questi temi; ho dedicato uno spettacolo agli artisti scomparsi di Reggio Emilia. Il tema della morte è sempre ricorrente in ciò che faccio; vivo e scrivo in mezzo ai monti, so che la morte è parte della mia esistenza, non mi spaventa. Mi fa paura la sofferenza ma questa è un’altra storia.

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