di Federica Pistono*

Nell’ambito delle pubblicazioni di narrativa palestinese giunte in traduzione nel 2022, un posto particolare occupa la raccolta di racconti Il mantello del mare di Nayruz Qarmut (Atmosphere Libri, 2022, trad. B. Benini). L’antologia, composta di undici racconti, rappresenta l’esordio letterario della giovane autrice e attivista palestinese, nata nel campo profughi di Yarmuk, a Damasco, nel 1984, e tornata nel 1995 a Gaza, luogo di origine della sua famiglia. La raccolta ha ricevuto importanti riconoscimenti, come il premio Pen Translates (2017) e l’Herald’s Angel Award alla fiera internazionale del Libro di Edimburgo (2018).

L’opera ruota intorno a una tematica centrale, quella dell’asprezza dell’esistenza degli abitanti della Striscia di Gaza, costantemente sotto il fuoco incrociato della politica e della tradizione. Protagonisti dei racconti sono i giovani palestinesi, che troppo spesso vedono il proprio desiderio di crescita personale e di emancipazione frustrato dalla mancanza di prospettive e di speranze in un futuro migliore. Ogni storia offre uno spaccato della vita quotidiana di una delle zone di guerra più martoriate del mondo, dipingendo un affresco del panorama emotivo e culturale della società di Gaza.

Il giogo delle tradizioni, da un lato, la brutalità dell’occupazione, dall’altro, sembrano rivaleggiare nell’oppressione della popolazione. I giovani protagonisti appaiono intrappolati in quella grande prigione a cielo aperto che è la loro terra, stretti tra il rigore di una società asfissiante e la spietatezza dell’occupazione. Nel racconto Il mantello del mare, che dà il titolo alla raccolta, una ragazza rischia di annegare a causa dell’ingombro degli abiti e dell’impaccio del velo che è costretta a indossare persino per un bagno in mare.

In Uva nera, un lavoratore palestinese chiede un salario equo al suo datore di lavoro, un colono ebreo, ma quest’ultimo non solo rifiuta la richiesta, ma accusa falsamente l’altro di essere un terrorista. In Allattamento al seno, una madre si oppone al progetto della figlia di studiare all’università, preferendo per lei la scelta tradizionale del matrimonio con un uomo molto più anziano, per poi prendere atto del proprio errore quando la giovane torna a casa, con il cuore spezzato, dopo il divorzio.

In Gigli bianchi, un manovratore di droni israeliano prende di mira con noncuranza un innocente ragazzo palestinese, che sta comprando un mazzo di fiori. Le modalità dell’esecuzione del giovane ricordano orribilmente quelle di un videogioco. Che si tratti della lotta quotidiana dei bambini orfani che cercano di sopravvivere fra le macerie degli ultimi bombardamenti, o dell’analisi delle complesse tensioni culturali tra le diverse generazioni di rifugiati nella società di Gaza, queste storie offrono rari spunti di riflessione su una delle più discusse e meno comprese città del Medio Oriente.

La durezza della vita nella Striscia di Gaza emerge, con prepotente evidenza, in penna e quaderno: tre ragazzi di una famiglia povera raccolgono pietre dalle rovine dei palazzi abbattuti per poi venderle. Il fratello maggiore invita i minori a comprare, con il denaro penosamente guadagnato, penna e quaderno, spinto dal desiderio di riscatto attraverso l’istruzione. Nel complesso, la raccolta ci offre una prospettiva locale su una storia globale, quella palestinese, e lo fa grazie a uno stuolo di personaggi, prevalentemente femminili, il cui punto di osservazione è radicato saldamente nell’ambiente domestico.

Come la vita palestinese, non tutte le storie s’incentrano sulla violenza e la guerra. L’autrice sceglie di focalizzare, in alcuni racconti, la condizione femminile, narrando le vicissitudini delle donne con uno sguardo apertamente femminista. Ne La lunga treccia, la giovane protagonista sfida senza paura il suo insegnante misogino, che insiste sul fatto che lei stia sprecando il suo tempo nello studio del canto. I personaggi, maschili e femminili, nonostante siano spesso oggetto delle persecuzioni della società o dell’occupazione, non sono mai ritratti come vittime, anzi, conservano dignità e fierezza anche nelle situazioni più critiche.

E così, queste vite sono nitidamente raffigurate in una serie di immagini vivide e graffianti. Lo stile della narrazione è realistico, anche se la natura, le condizioni di vita, gli stati d’animo dei protagonisti sono descritti con notevole lirismo.

*Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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