La discussione su un tetto europeo ai prezzi del gas e su altro debito comune per aiutare i Paesi membri ad affrontare l’emergenza energetica procede a rilento, in attesa del vertice informale dei leader a Praga durante il quale il governo Draghi intende proporre un nuovo meccanismo di formazione dei prezzi. Le novità concrete degli ultimi giorni sono due: il via libera dei ministri dell’Energia, venerdì scorso, al pacchetto di misure che comprende risparmi energetici obbligatori, un tetto ai ricavi delle imprese che producono elettricità da fonti non fossili e un contributo di solidarietà a carico delle imprese petrolifere e del gas. E l’accordo dei ministri delle Finanze dei 27, raggiunto martedì, su una proposta che consentirebbe agli Stati di aggiungere ai loro Recovery plan un nuovo capitolo con investimenti e riforme mirati a raggiungere gli obiettivi di RePower Eu, il piano presentato a marzo per liberarsi dalla dipendenza dal gas russo. Che cosa significa per l’Italia? Se le proposte andassero in porto, il prossimo esecutivo potrà chiedere alla Ue altri 2,7 miliardi di prestiti per finanziare investimenti in infrastrutture, tecnologie o formazione dei lavoratori in vista della transizione green e ricavarne ulteriori 10 dai produttori di energia da rinnovabili.

La prima cifra è contenuta nella proposta di Regolamento del Consiglio – andrà ora negoziata con Parlamento e Commissione – che modifica le regole del 2021 sul dispositivo per la ripresa e resilienza (il cuore del Next Generation Eu). I Ventisette intendono mettere sul piatto 20 miliardi aggiuntivi rispetto ai 750 previsti nel 2020 per consentire agli Stati membri di riprendersi dalle conseguenze della pandemia. I soldi arriverebbero dal meccanismo di aste delle quote di Co2 che sta alla base dell’Emission Trading System: a pagare sarebbero insomma le aziende inquinanti. I Paesi potrebbero chiederne una parte – con un tetto massimo legato alla dipendenza da fonti fossili e all’inflazione – a fronte appunto della presentazione di un capitolo aggiuntivo che previa approvazione della Commissione andrebbe ad aggiungersi al Piano di ripresa e resilienza già presentato a Bruxelles. In più ci sarebbe l’opzione di chiedere il “trasferimento” di alcune risorse dal Fondo per la transizione equa e dalla Riserva di adeguamento alla Brexit a questa nuova voce. La tabella finale, che dettaglia le quote destinate a ogni Paese, mostra che l’Italia sarebbe anche in questo caso il primo beneficiario a pari merito con la Polonia: 2,7 miliardi.

Intanto l’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica, in un’analisi firmata da Federico Neri, ha calcolato quante risorse potrebbe recuperare l’Italia dall’applicazione del piano della Commissione per il contrasto ai rincari. Risorse preziose, considerato che il prossimo inquilino di Palazzo Chigi dovrà come primo atto prorogare i crediti di imposta sulla spesa energetica (in scadenza a fine novembre e dal costo di circa 4,7 miliardi al mese) e il taglio delle accise sulla benzina (in vigore fino a fine ottobre, al costo di 1 miliardo al mese) per poi mettere a punto una legge di Bilancio in cui perlomeno rifinanziare l’azzeramento degli oneri generali di sistema e la riduzione dell’Iva sul gas. Il tetto ai ricavi dei produttori di energia da eolico, solare, geotermica, nucleare e lignite, che oggi vendono al prezzo dell’ultima unità prodotta dalle fonti più costose, stando alla proposta Ue sarà fissato a 180 €/Megawattora contro gli attuali quasi 300 euro medi del Prezzo unico nazionale (Pun) italiano. La parte eccedente verrebbe confiscata e utilizzata dallo Stato per aiutare aziende e famiglie vulnerabili.

Neri ha stimato il gettito basandosi sui volumi venduti durante l’inverno e la primavera 2021-2022 e sul Pun medio del 2022 (327,82 €/MWh), partendo dal fatto che secondo l’authority Arera circa il 40% dell’energia prodotta e scambiata sulla Borsa elettrica italiana proviene da fonti cosiddette “infra-marginali”. Applicare il tetto per sette mesi, fino al giugno 2023, come prevede la proposta, porterebbe un gettito di circa 1,4 miliardi al mese, 10 complessivi. Che sarebbero utilizzabili anche per fissare un prezzo calmierato per i consumatori finali compensando i fornitori. Non c’è invece una stima su quanto frutterebbe alla Penisola il terzo pilastro del pacchetto, una tassa minima del 33% sugli extraprofitti che superano il 120% dell’imponibile medio degli ultimi tre anni nelle attività legate ai combustibili fossili. Stando alle previsioni di Bruxelles, si parla di cifre residuali rispetto a quelle attese dal tetto ai ricavi.

Sullo sfondo resta l’ipotesi di arrivare al sospirato decoupling, cioè il distacco del prezzo dell’energia rinnovabile da quello dell’elettricità generata a combustibili fossili. Giorgia Meloni ha ripetuto più volte di essere pronta ad agire da sola, sul piano nazionale, ma l’analisi dell’Osservatorio nota che così facendo “i produttori di energia italiani vedrebbero azzerarsi i propri extra profitti sul mercato energetico domestico. Pertanto, si creerebbe un forte incentivo a vendere l’energia prodotta da fonti infra-marginali su altri mercati europei dove non è stato ancora implementato il decoupling e il prezzo è ancora fissato dal costo per le imprese marginali. Inoltre, le imprese infra-marginali straniere abbandonerebbero il mercato italiano per vendere a prezzi maggiori in altre nazioni e mantenere alti i profitti”. Insomma: il risultato potrebbe essere aggravare la carenza di materia prima che già rischia di farsi sentire alla fine dell’inverno, quando gli stoccaggi saranno stati in gran parte utilizzati. Per ora è sbarrata anche l’altra strada ipotizzata da Fratelli d’Italia, cioè l’uso dei fondi strutturali 2014-2020 ancora non spesi: il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha spiegato che si “lavorerà su ulteriori flessibilità temporanee” per consentire di impiegarli contro la crisi energetica, ma occorrerà attendere i tempi lunghi dei negoziati europei.

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