Domenica 28 ottobre 2018 i brasiliani avevano votato al secondo turno delle elezioni presidenziali. Il risultato aveva dato la vittoria a Jair Bolsonaro, candidato del Partito Social Liberale, con un larghissimo margine, il 56 percento dei voti contro il 44 di Fernando Haddad, candidato del Partito dei Lavoratori degli ex presidenti Lula da Silva e Dilma Rousseff, già sindaco di San Paolo e ministro dell’istruzione. Era stata la prima elezione brasiliana in cui i social media avevano giocato un ruolo importante: la community del YouTuber influencer Felipe Neto si era guadagnata più di un milione di follower su Twitter, il quinto sito più re-twittato dopo quelli dei due candidati, quello del quotidiano Folha de Sao Paolo e quello di Joaquim Barbosa, l’ex presidente della Corte Suprema che la rivista Time aveva annoverato nel 2013 tra le 100 personalità più influenti del pianeta.

Lo scenario delle prossime elezioni mostra una radicale inversione di tendenza. Secondo i sondaggi, Luiz Inácio Lula da Silva –già presidente a inizio secolo, dal 2003 al 2011, e nuovamente candidato– prevale sull’attuale presidente Jair Bolsonaro con un cospicuo vantaggio, più di 15 punti percentuali (Figura). Le candidature alternative sono scivolate nel limbo della marginalità, dal progressista Ciro Gomes, storicamente ostile a Lula, o alla centrista, liberale, pragmatica Simone Tebet, espressione élitaria e intellettuale. Lula–con almeno il 45 per cento dei consensi secondo tutti i sondaggi–riuscirà a prevalere al primo turno del prossimo 2 ottobre se i potenziali elettori di Gomes e Tebet si piegheranno alla retorica del voto utile, evitando al 76-enne Lula e al 67-enne Bolsonaro un durissimo faccia a faccia nel secondo turno, previsto per il 30 ottobre.

Le elezioni sono una sorta di referendum su Bolsonaro che, nel 2018, si era prefissato l’obiettivo di fare del Brasile una economia di libero mercato, cancellando l’economia statalista creata dal Partito dei Lavoratori. E aveva perciò affidato l’economia al ministro Guedes, un Chicago Boy allievo della scuola neoliberista fondata da Milton Friedman, che tanto successo ebbe in Cile durante il regime di Augusto Pinochet. E che conta illustri allievi anche in Italia, da sempre molto attivi anche a livello istituzionale. Purtroppo, i risultati sono stati modestissimi: basso tasso di crescita, inflazione galoppante, alta disoccupazione, 33 milioni di persone alla fame. In pratica, Bolsonaro si è rivelato una bella copia, in quanto a presenza politica e prestanza mediatica, del primo presidente eletto dopo 25 anni di dittatura, nel 1990. Collor de Mello, che aveva prevalso sull’eterno Luiz Inácio Lula da Silva, fu destituito dopo due anni per corruzione, mentre la sua politica fondata sul libero mercato, le privatizzazioni, l’austerità falliva miseramente.

Bolsonaro ha perseguito una ostinata, verticale, manichea divisione del paese tra chi fosse pro e chi contro le sue idee, la sua politica, la sua persona. Ora, non gli basta più il supporto delle tre fazioni politiche battezzate “Bancada BBB: bala, biblia e buey”: letteralmente pallottole, bibbia e buoi. Le lobby dei militari e della liberalizzazione del porto d’arme, del fondamentalismo evangelico che ha monopolizzato le favela, degli allevatori e agricoltori a favore della deforestazione dell’Amazzonia, garantiscono circa un terzo dell’elettorato. Ma questo zoccolo duro si è talmente isolato dal resto del paese che il ritorno al futuro del redivivo Lula, per quanto vintage, è diventato l’orizzonte dell’avvenire per molti brasiliani.

Una traccia del possibile, epocale ribaltone è fornita ancora una volta da Felipe Neto. A maggio, quando le vittime della pandemia avevano superato la soglia di 500mila persone, Neto affermava come “non avere una opinione contraria al presidente Jair Bolsonaro equivalesse al tacito sostegno a un sistema fascista”. Ora –a quota 686mila vittime, contro le 176mila italiane–Neto controbatte duramente i post dei sostenitori di Bolsonaro che hanno recuperato i suoi vecchi video dove l’influencer criticava pesantemente Lula e il suo partito. Commentando un vecchio video di Bolsonaro, Neto conclude come Lula sia una “persona onesta”. Il periodico ritorno dell’onestà come somma virtù politica è un segnale della crisi della democrazia in entrambi gli emisferi del pianeta.

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