Più spesa pubblica – ma anche “meno Stato” che deve erogare e controllare tale spesa – e, contemporaneamente, meno entrate (è il risultato della lusinga sirenica di meno tasse); Flat-Tax per il lavoro autonomo perché tanto le tasse le pagano i lavoratori dipendenti e i pensionati oppure perché si fa debito in barba agli accordi sottoscritti a livello europeo dall’Italia.

No al reddito di cittadinanza ma, contemporaneamente, ristori al lavoro autonomo e alle imprese (cioè regali in cambio del nulla) ovvero un autogol per l’economia, perché i secondi si sono trasformati in depositi bancari, cioè in speculazione finanziaria anziché in lavoro e reddito per i produttori; ridiscussione dei trattati Ue a partire da fiscal compact ed euro; divieto di utilizzo di termini stranieri negli atti ufficiali e normativi (come ad esempio Next Generation-Ue e Flat-Tax?).

È un estratto pregnante del programma di Fratelli d’Italia per le politiche del 2018, plagiato da quello del 2022.

La Lega di Salvini? Punta sull’abbassamento dell’età pensionabile, sulla Flat-Tax per tutti (benché al governo l’abbia riservata al solo lavoro autonomo e con un tetto di 65mila euro. Motivo di tali limiti? Semplice: la Flat-Tax è inattuabile a ragione del mostruoso “buco di bilancio” conseguente); condono fiscale (già in atto, però, e già calendarizzato per tutto il 2022); contenimento degli sbarchi che, nel primo semestre del 2022, sono pari a meno della metà di quelli in essere anni addietro.

Brillano, invece, ma per l’assenza, gli interventi (urgenti) volti ad aumentare i posti di lavoro e la crescita economica; quelli di contrasto del lavoro precario giovanile, quelli di fronteggiamento della fuga all’estero dei nostri figli in ricerca di lavori adeguati alla loro dote scolastica e formativa; quelli di contrasto alla povertà dilagante (e già troppo ampiamente dilagata); quelli di sostenibilità del debito pubblico italiano; le misure finalizzate ad aumentare la credibilità internazionale dell’Italia e la ricerca di investitori ed imprenditori anche stranieri. Mancano gli interventi volti a consolidare la naniforme e calante imprenditoria indigena e, infine, quelli volti ad evidenziare l’approccio “dadaista” della stessa nei confronti dello Stato. Dadaista? Sì, perché le associazioni di categoria – Confindustria in testa – chiedono allo Stato sempre più bonus e superbonus, ristori a go-go e di poter utilizzare più facilmente il lavoro precario e malpagato mettendo fine alla concorrenza esercitata dal reddito di cittadinanza (sopprimendolo).

Non si fa menzione alcuna, peraltro, alla necessità di misure di contrasto alla mostruosa evasione fiscale nostrana (oltre 100 miliardi annui) e tantomeno del lavoro nero che penalizza le imprese oneste oltre che lo Stato. Cioè tutti noi. L’immigrazione? Ė dipinta in termini ideologici e denigratori, presentata come una invasione di massa (cosa del tutto irreale sia in termini assoluti che nel confronto internazionale), contrastato lo ius soli, ecc. ecc., omettendo che gli immigrati sono preziosi perché, nella realtà, suppliscono al “gelo demografico” italiano, alla fuga dei nostri ragazzi all’estero e alla totale mancanza di manodopera per i tanti lavori poveri e generici (ma necessari) che gli italiani non vogliono, da tempo immemore, più svolgere.

Ciò che manca, pertanto, è anche una politica di inserimento lavorativo e sociale degli immigrati economici gestita grazie ad una regia intelligente e lungimirante volta a coprire i fabbisogni insoddisfatti di famiglie ed imprese indigene. Tirando le fila, insomma, siamo di fronte ad una “bla bla economy” che necessità di essere evidenziata e superata per progettare “l’Italia che vorremmo”, fatta di occasioni di lavoro per l’esercito di lavoratori “inutilizzati” (disoccupati, scoraggiati, sospesi dal lavoro) che supera le 5 milioni di unità e i 600mila italiani espatriati netti italiani degli ultimi anni che, purtroppo, non sognano un ritorno.

L’esito finale? Essere privati di affetti fondamentali (quello dei nostri figli laureati e diplomati), di cospicue e qualificate risorse per il mercato del lavoro nostrano, di energia e vitalità sociale. E di un welfare (per noi indigeni rimasti) che cala in conseguenza dell’impoverimento del lavoro e del calo dell’economia. L’entità dei fenomeni menzionati (i numeri ufficiali, cioè), le riflessioni su di essi e l’identificazione di possibili misure di fronteggiamento degli stessi potrete trovarli documentati nel mio Oltre la Bla bla Economy. L’Italia che c’è, che verrà, che desideriamo, L’Orto della cultura Editore, 2022, che propongo alla vostra attenzione e dal quale auspico una riflessione e un confronto.

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