Ve lo si legge negli occhi. Scettici, indecisi, un poco spenti. Non vi offendete: siamo in molti ad avere quello sguardo. Ce lo si legge negli occhi che domenica non abbiamo idea di chi votare. E se votare. Se sei siciliano, come me, non ne hai doppiamente idea. Rintronato. Rintronati: ecco come ci sentiamo.

Tramortiti da slogan che s’alzano vuoti come palloncini, dalle alleanze di Tizio e Caio (gli stessi, proprio gli stessi che dicevano “mai con Tizio” e “mai con Caio”) che s’abbracciano per salvare il Paese da “queglialtri” senza sapere cosa vorrebbero fare a partire da lunedì 26. E non è che non ne abbiamo idea perché non ci siamo informati – abbiamo persino provato a scovare i programmi elettorali –, non ne abbiamo idea perché non ci piace nessuno. Diciamola meglio: perché non ci rappresenta nessuno. E possiamo dirlo con oggettività, senza snobismo: li abbiamo, purtroppo, già provati tutti. Sono gli stessi da anni. A gennaio non sono riusciti a mettersi d’accordo per eleggere un presidente della Repubblica, ora sono pronti a formare un Governo. Seh, come no.

Verrebbe voglia di mandarli tutti a quel Paese – che però, purtroppo, è il nostro – ma non andando a votare faremmo esattamente il loro gioco. Perché vedete, amici dallo sguardo sconfortato come il mio, verrebbe proprio da pensare che vogliano fare della democrazia rappresentativa la rappresentazione di loro stessi. Prendete l’attuale legge elettorale, che gli stessi partiti oggi criticano e ieri approvavano: ci nega, di fatto, il sacrosanto diritto a scegliere i nostri rappresentanti. Un sondaggio dell’istituto Demopolis ha fotografato il dramma: solo un terzo di noi elettori conosce il nome di un candidato nel collegio uninominale in cui voterà domenica. Da segreto, il voto è diventato a scatola chiusa. Liste preconfezionate calate dall’alto, senza che i territori possano dire la loro, senza che dai territori possano germogliare nuove risorse, un pensiero. Ci avviciniamo a un’elezione in cui è il candidato a scegliere al posto dell’elettore: ma fate sul serio!?

D’altronde c’era da aspettarselo. La riduzione dei parlamentari, salutata come la presa della Bastiglia, ha peggiorato le cose. E molto. Da un lato abbiamo risparmiato lo zero virgola zero nulla, dall’altro l’imbuto per accedere al Parlamento si è fatto sempre più stretto. Così i partiti piazzano i loro più storici fedelissimi, li traslocano perfino da una regione all’altra. E i territori? I territori niente: più sei marginale e periferico, più avresti quindi bisogno di una salda rappresentanza a Roma, più t’attacchi. Sì, “t’attacchi” è il termine che rende meglio il concetto. Se il voto è a scatola chiusa, la politica è a numero chiuso. I test di ammissione? Se li fanno da soli.

E a proposito di test d’ammissione, sapete chi è, ancora una volta, come sempre, a non poter esercitare il proprio diritto di voto? Esatto, quelli lì: gli universitari e tutti i lavoratori fuorisede. Ora non venitemi a dire delle agevolazioni per tornare a casa: signori io vivo a Ragusa, punta estrema del Mezzogiorno, qui i primi chilometri di autostrada dell’intera provincia sono arrivati solo da pochi mesi, l’aeroporto è al collasso, la ferrovia che ve lo dico a fare. Da Milano faccio prima ad andare a Londra che a casa. Negare il voto ai fuorisede, che in molti casi sono universitari e giovani lavoratori, vuol dire imbavagliare quella che è probabilmente la parte del Paese più istruita, sensibile al cambiamento e aperta mentalmente. È, tra le altre cose, la parte che più subirà le scelte di questo voto. E che sarà mai.

Se il voto è il diritto più importante, lo Stato ha il dovere di mettere ogni cittadino nelle medesime condizioni per esercitarlo, ma non è così. Nel 2022 dopo Cristo, in un’era tecnologicamente avanzata, chi vive all’estero, magari da molti anni, può incidere sul futuro dell’Italia ben più di chi, nonostante tutto, qui ci studia, ci lavora e addirittura *rullo di tamburi* qui vorrebbe crearsi un futuro!

E sapete quand’è che si parla del voto fuorisede? Sempre e solo quando è ormai troppo tardi. L’Italia è il Paese che am…mazzerei.

Lamentarsi dell’allontanamento della gente dalla politica è un pianto di coccodrillo. Allontanare la gente dalla politica è oggi fare politica. E a me non sta bene. Per questo domenica non vedo l’ora di votare. Il meno peggio, come sempre, turandomi il naso e le orecchie, come sempre. Altrimenti fate tutto voi.