Il Regno Unito si ferma per raccogliersi nel lutto della perdita di Elisabetta II, il cui regno è stato il più lungo nella storia della monarchia britannica. I sindacati annullano gli scioperi, il parlamento chiude i battenti, le pagine dei giornali si riempiono di tributi in memoria della regina, il lutto spazza via anche la crisi energetica, la stagflazione, la Brexit e la guerra in Ucraina. Ed è giusto che sia così. E’ Liz Truss, il nuovo primo ministro, che nel suo tributo alla regina riassume l’ampiezza della perdita. Truss la definisce la roccia su cui poggiava la nazione. Elisabetta questo complimento non lo ha ereditato ma lo ha conquistato, giorno dopo giorno dedicando tutta la sua vita al servizio del Regno Unito.

Una vita fuori dal comune che avrebbe potuto essere completamente diversa. Elisabetta finisce in prima posizione nell’asse ereditario dopo l’abdicazione dello zio, re Edoardo VIII. Il re rinuncia alla corona per sposare la due volte divorziata Wallis Simpson. E’ il dicembre del 1936. La seconda guerra mondiale è alle porte e la nazione ancora si lecca le ferite della prima. Sono tempi bui. Si racconta che la madre di Elisabetta pianse quando le venne annunciata la notizia, colei che diventerà la tanto amata regina madre avrebbe preferito una vita più leggera per la primogenita ed una più libera per il ramo cadetto dei Windsor. La corona pesa, non tutti la sanno portare, soprattutto non tutti la vogliono indossare.

A dieci anni Elisabetta inizia l’apprendistato reale, niente scuola, con la sorella Margaret viene istruita privatamente. Tra i tutori che la visitano regolarmente al castello di Windsor c’è il vice-provost di Eton College, Henry Marten, che la prepara per i suoi obblighi costituzionali. Marten le insegna la saggezza di Walter Bagehot, il saggista e giornalista che nel 1867 scrisse The English Constitution, un’analisti attenta e profonda del sistema politico britannico ai tempi della regina Vittoria. In sintesi, Bagehot scrive, la nazione è una repubblica mascherata da monarchia ed il compito della corona è distrarre l’attenzione della popolazione da chi la governa davvero, perché solo così, in pace ed in sordina, si possono fare gli interessi di tutti. Il monarca non comanda, adempie a compiti ben specifici. Il monarca non ha vita privata, è un simbolo, appartiene al popolo.

La monarchia è un ministero pubblico dove le cariche sono a vita. Tutta la vita di Elisabetta II è stata vissuta all’insegna di questi principi. Il primo test è l’incontro con il leggendario Wiston Churchill dopo la morte del padre nel 1953. Si racconta che Elisabetta era nervosa. Da allora la regina ha intrattenuto ogni settimana 15 primi ministri britannici, l’ultimo di questi incontri è avvenuto due giorni prima della sua morte quando ha ricevuto a Balmoral Liz Truss.

E se è vero che nell’adempire i doveri della corona, Elisabetta ha conosciuto grandi personaggi tra cui 13 presidenti americani e mitici individui come Charles de Gaulle e Nelson Mandela, è anche vero che ha potuto scambiarci soltanto poche parole. Nonostante l’abbraccio di Michelle Obama, che ha infranto tutti i protocolli, la donna Elisabetta non è mai stata presente.

Infatti, nessuno al di fuori della famiglia e dei pochissimi intimi, la conosce. Elisabetta non ha concesso interviste e non ha mai parlato della sua vita privata. Uno squarcio sulla personalità della regina, sull’innato senso dell’humour tipicamente britannico, ce lo ha fornito il video delle olimpiadi dove scortata da 007 sale sull’elicottero e quello del tè con Paddington Bear durante l’ultimo giubileo quando si scopre che entrambi portano con sé sempre una scorta alimentare, il classico marmelade sandwich.

Per le centinaia di migliaia di persone comuni che l’hanno conosciuta quale simbolo della nazione, per le infermiere ed i medici degli ospedali cha ha inaugurato, per gli insegnanti e gli studenti delle scuole che ha aperto, per gli operai ed ingegneri dei ponti dove ha tagliato i nastri di inaugurazione ed i soldati che ha guidato nelle sfilate ufficiali, Elisabetta II era la mano dello Stato che stringeva la loro e li ringraziava per quello che avevano fatto.

E questo gesto ha un valore incommensurabile, è stata la colla che ha tenuto insieme lo Stato e la nazione. Il prezzo, la vita di una donna, Elisabetta. Il principe Filippo una volta disse che nessuno avrebbe mai scelto volontariamente una vita così, e si potrebbe aggiungere particolarmente chi, come Elisabetta, nasceva privilegiato e poteva permettersi un’esistenza di agi. Ma Elisabetta non solo sembrava essere nata per quel ruolo, lo ha svolto con dignità, onore ed umiltà dall’età di 10 anni.

Sullo sfondo le metamorfosi del Regno Unito: la Seconda guerra mondiale, il razionamento, la disgregazione dell’impero britannico, l’inverno dello scontento ma anche il trionfo della musica pop, la moda di Carnaby Street, la minigonna, la tolleranza britannica porto di rifugio per chiunque era perseguitato in casa.

Nel bene e nel male, Elisabetta II ha dato continuità ad una nazione che cambiava, e non sempre con facilità, e.g. la Brexit, ne è stata l’ancora istituzionale, silenziosamente, con garbo ed umiltà. Tra gli incidenti di percorso il divorzio che dopo averla portata al trono, ne ha minacciato la popolarità. Prima quando nega a Margareth, la sorella minore, il permesso di sposare il divorziato capitano Peter Townsend, una decisione che a parere di molti contribuì all’infelicità di Margareth. Poi i divorzi di tre dei figli ed in particolare quello pubblico tra Diana e Charles. La tragedia di Lady Diana disegna un’ombra scura nel regno di Elisabetta II. La regina viene accusata di insensibilità per non essere corsa a Londra subito dopo la sua morte.

Ma alla luce della sua lunga vita di sacrifici, l’atteggiamento distaccato nei confronti dei problemi di cuore di Margareth, di quelli di Diana e dei figli divorziati diventa comprensibile.

Per Elisabetta la vita privata era subordinata a quella pubblica, qualsiasi sacrificio era giustificabile e necessario per il bene della nazione. A riprova, non solo la sua vita ma la decisione di abbassare tutte le bandiere del regno a mezz’asta quando dieci giorni dopo la morte di Diana Elisabetta torna a Londra e vede le distese di fiori davanti a Kensington e Buckingham Palace che la gente ha portato in memoria di Diana. A quel punto capisce che la nazione ha bisogno di quell’icona. Il discorso commemorativo nel quale Elisabetta elogia la vita di Diana arriva subito dopo ed a quel punto che è lei che ricorda a chi l’ascolta che la dimensione pubblica della ex nuora supera di gran lunga quella privata della giovane donna infelice.

Nell’era della celebrazione dell’io, dove il sacrificio pubblico appare come un atto incomprensibile, il lungo regno di Elisabetta II ci ricorda che senza rinunce personali, a volte anche di dimensioni immense, non esiste lo Stato nazione né la libertà né la democrazia. Il bene di tutti spesso ha un prezzo, Elisabetta ha saputo e voluto pagare, ed è per questo che oggi tutti, ma proprio tutti, si stringono nel lutto della sua perdita.

Articolo Precedente

Parità tra euro e dollaro, la colpa è della pochezza politica di Eurolandia

next
Articolo Successivo

Le favole di Berlusconi, Cenerentola Truss e il ritorno di BoJo: quanto durerà questa farsa?

next