Bancarotta per distrazione e per dissipazione: sono queste le accuse che hanno portato il gup di Roma a rinviare a giudizio l’imprenditore Renato Soru, ex governatore della Sardegna, ed altri nell’ambito del procedimento relativo al fallimento del quotidiano l’Unità. Il processo è stato fissato al prossimo 13 febbraio. Soru, difeso dall’avvocato Fabio Pili, compare nel procedimento per il suo ruolo di socio svolto dal 2008 al 2015 in relazione alla gestione del quotidiano.

Nel 2018 fu Repubblica a dare notizia dell’inchiesta: secondo l’accusa l’ex governatore della Sardegna e patron di Tiscali trasferì azioni di sua proprietà, per un valore di quasi 3 milioni di euro, tra due società che in tempi diversi hanno controllato il giornale fondato da Antonio Gramsci, la Nuova iniziative editoriale (Nie) e la Nuova società editrice finanziaria (Nsef). Operazioni definite dai magistrati in documenti citati dal giornale “prive di una valida ragione economica”, utili solo ad alterare i bilanci e creare futuri crediti a suo favore. L’avviso di conclusione indagini venne notificato anche ad altre undici persone che in tempi diversi hanno fatto parte del Cda della Nie spa. Il diretto interessato, dopo che la notizia divenne di dominio pubblico, spiegò in una nota dettagliata la sua posizione sulla vicenda: “Ieri, a quasi un anno esatto dal giorno in cui sono stato assolto da un’altra accusa ingiusta – disse Soru il 28 aprile di 4 anni fa – sono venuto a sapere per la prima volta di essere stato indagato per una nuova vicenda. Ritengo di poter dimostrare facilmente la totale infondatezza dei fatti di cui sono stato accusato e pertanto chiederò di essere sentito al più presto possibile, affinché anche questa vicenda possa essere superata senza lasciare alcun dubbio sui miei comportamenti“.

“All’epoca dei fatti contestati – proseguì Soru – la mia partecipazione era scesa sotto il 5%. E, pertanto, diversamente da quanto sostiene l’accusa, senza alcuna possibilità di poter incidere nelle decisioni di gestione della società – aggiunse – In realtà io non sono mai stato in Cda e non ho mai svolto alcun ruolo. Nel 2008, controllando il capitale della società, avevo scelto gli Amministratori. Tuttavia, come sarà facile appurare, io ho perso il controllo già nel 2012 con l’arrivo del nuovo azionista Mian, poi nel 2013 è arrivato un ulteriore azionista di controllo. Entrambi con importanti disponibilità finanziarie hanno gestito e finanziato la società con ulteriori consistenti aumenti di capitale“.

Nel suo lungo messaggio l’allora eurodeputato ripercorse i passaggi della vicenda e si sfogò: “Ho sacrificato ingenti risorse finanziarie personali, contribuendo a salvare il giornale e continuando a farlo per alcuni anni – spiegò – In tutto il periodo non ho mai assunto alcun ruolo operativo di gestione o di responsabilità amministrativa”. Non mancava un passaggio in cui controbattè alle accuse mosse dalla magistratura laziale, parlando di “due fatti del tutto irragionevoli”. Il primo riguardava la vendita alla società che gestiva il giornale Nie “del 35% circa della società proprietaria della testata (Nsef), per 3 milioni euro”, e il secondo la procedura di accesso “al concordato in bonis”. Oggi, a distanza di quattro anni da quel messaggio, il rinvio a giudizio per l’imprenditore.

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